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Beato ROLANDO RIVI

di Stefano Battezzati

La sua vita

Nato nel 1931 a San Valentino, frazione di Castellarano (RE), secondo dei tre figli, Rolando era un bambino vivacissimo, intelligente, imparava con facilità e aiutava volentieri i compagni.

Era generosissimo con i poveri di passaggio ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”. Dopo la Cresima, si sentì ancora più obbligato con il Signore Gesù, “un soldato di Cristo”, come allora si diceva, e prese forti impegni con Lui: la Messa e la Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno, da solo e in famiglia. Era il più scatenato nei giochi e, al tempo stesso, il più assorto nella preghiera.

Suonava in chiesa l’harmonium e accompagnava i cantori, tra i quali il suo ottimo papà, Roberto Rivi, fiero di cantare con il suo “tesoro” che si preparava, più convinto che mai, a diventare “un altro Gesù” nel sacerdozio.

Maturò subito questo desiderio di diventare sacerdote e missionario, e questo guardando anche alla figura del suo parroco, don Olinto Marzocchini, “uomo di ricchissima vita interiore, attento alle cose che veramente contano”, che fu per il ragazzino una guida e un maestro.

Rolando entrò quindi nel seminario di Marola (Reggio Emilia) nell'autunno del 1942, vestendo subito l’abito talare, come allora si usava. Nell’estate del 1944, però, il seminario di Marola venne occupato dai soldati tedeschi. Ritornato a casa, continuò gli studi da seminarista, sotto la guida del parroco, e portò nel suo paese un’ardente testimonianza di fede e di carità, vestendo sempre l’abito talare, nonostante il parere contrario dei genitori. Essi erano preoccupati per i gesti di odio antireligioso diffusi nella zona: gli atti di violenza e le uccisioni di sacerdoti erano, infatti, in quel periodo, molto comuni.

È il segno che io sono di Gesù”, soleva dire.

Per questa sua testimonianza di amore a Gesù, così intensa da attirare gli altri ragazzi verso l’esperienza cristiana, venerdì 13 aprile 1945, a soli 14 anni, finirà nel mirino di un gruppo di partigiani comunisti: venne sequestrato e spogliato a forza della sua veste da seminarista, della quale i sequestratori fecero una sorta di pallone da calciare, per poi appenderla, come un trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.  Verrà quindi trascinato in un bosco e brutalmente picchiato e torturato. Dopo avergli fatto scavare una fossa, infine lo uccisero con due colpi di pistola, uno alla tempia e uno all’altezza del cuore. Quando Rolando capì che i carnefici non avrebbero avuto pietà, chiese solo di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Anche in quest’ultimo istante, nella preghiera, Rolando riaffermò la sua appartenenza all’amico Gesù, al suo amore e alla sua misericordia.

I 2 responsabili dell'uccisione furono condannati nel 1951 a 23 anni di reclusione, ma ne scontarono solo 6, per effetto dell'amnistia Togliatti. 

Canonizzazione

Dopo una serie di guarigioni riconosciute come miracolose dalla Chiesa cattolica, in quanto ottenute con la sua intercessione – tra le quali quella di un bambino abitante a Londra, colpito da una grave infermità e guarito completamente dopo aver toccato una reliquia di Rolando – nel 2006 venne aperta dall’arcidiocesi di Modena la sua causa di canonizzazione.

Il 28 marzo 2013 Papa Francesco autorizzò la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto che riconosceva il martirio del giovane. Il 5 ottobre 2013 si celebrò la cerimonia di beatificazione, davanti a migliaia di persone riunite nel Palazzetto dello Sport di Modena.

Segni e  messaggio

…. Poi emisero la sentenza: “Uccidiamolo, avremo un prete in meno”.

Ma come abbiamo imparato, la Divina Misericordia è capace di trasformare il male in bene: da questo “prete in meno”, dal suo martirio, siamo sicuri che saranno scaturite tante e tante belle vocazioni sacerdotali: “tanti preti in più!”,

Questo auspicio, tra l’altro, è uscito anche dalle parole dal vescovo Massimo Camisasca: “Possa il dono che Rolando ha fatto di sé a Dio attrarre a Cristo tanti giovani, tante famiglie; riconciliare i cuori e aprire a nuove vocazioni sacerdotali gli itinerari di molti ragazzi”.

La beatificazione di Rolando Rivi è stata presentata dalla Chiesa diocesana come un grande momento di riconciliazione: dopo quasi 80 anni, infatti, nel 2018 la figlia di quel partigiano che sparò a Rolando, in presenza del Vescovo, chiese perdono per il padre, stringendo la mano alla sorella ed agli altri parenti ancora in vita.

È stato così lanciato un messaggio di pace e di unione per la fine di tutte le guerre.

Guardando l’immagine di Rolando con l’abito talare, come non commuoversi di fronte a quel volto, quello sguardo innocente e puro: mi piace pensare che abbia “incantato” anche il Padre Celeste, tanto da volerlo subito con Lui ad abbellire il Paradiso, anche per imprimerlo nella futura memoria di tutti noi, primi fra tutti i parenti suoi e quelli degli assassini, tanto da infondere questo desiderio di riconciliazione, questa richiesta di perdono.

Anche lo stesso padre di Rolando fu coinvolto in queste grazie, tanto da dire, su quell’immane tragedia soltanto: “Perdono”. Era straziato, ma con la sua fede grandissima riprese a vivere infondendo coraggio ai suoi e illuminando il dolore con la preghiera incessante, sentendosi quasi chiamato a compiere il bene al posto di Rolando.
Stupiva chi lo avvicinava, persino i Sacerdoti che lo stimavano e ne amavano la compagnia, e la sorella Suora. “Con tutto quanto ha patito, come può essere così forte e sereno?”. La sua risposta era la Croce di Cristo.

Io sono di Gesù”, soleva dire Rolando: questa frase – che si trova nell’intimo di ognuno di noi, e che, quindi, ognuno di noi sente – vorrebbe dire, dice, ci dia la forza e il coraggio per testimoniare, come Rolando, la nostra appartenenza a Cristo, alla Chiesa, al Cuore Immacolato di Maria!

 

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