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DOMENICA DELLE PALME-Passione del Signore-ANNO C

La passione del Signore

Vangelo

La passione del Signore.

 

+ Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca (Lc 22,14-23,56)

 

Spunti di riflessione

Gesù cammina davanti a tutti, salendo con decisione verso Gerusalemme. Non sappiamo quanti fossero a seguirlo, ma il brano evangelico, qualche versetto più sotto, parla di “folla dei discepoli”. Un piccolo “esercito”, insomma, che evoca l’immagine di un monarca che avanza a capo dei suoi soldati.

Giunti in prossimità della meta, fra Bètfage e Betània, invia una sua delegazione per farsi consegnare una cavalcatura. L’Evangelista Luca menziona espressamente le due località, poiché egli rilegge l’ingresso in Gerusalemme basandosi sulle antiche profezie che alimentavano le attese messianiche: “In quel giorno i suoi piedi si poseranno sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente” (Zc 14,4).

Inaspettatamente, questo Re si fa consegnare non un cavallo, simbolo di forza e di nobiltà, ma un umile puledro di asinello. La scelta della cavalcatura, tuttavia, non è casuale, sia perché cavalcare asini (come descritto anche nel cantico di Debora, Gdc 5,10 -10,4 -12,14) era segno di pace e tranquillità e, allo stesso tempo, di autorevolezza; sia perché gli animali che erano destinati per il sacrificio non potevano essere usati per lavori comuni: ecco allora che la cavalcatura di Gesù, re e Messia, vera vittima sacrificale, doveva essere un puledro di asino “sul quale nessuno era mai salito”.

Gesù, dunque, non giunge a Gerusalemme come capo militare con il suo esercito pronto alla guerra, ma come Re di Pace, seduto sopra un asino e circondato da una folla festante a piedi, andando a realizzare la profezia di Zaccaria 9.9: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina”. Il puledro figlio di asina “sul quale nessuno era mai salito” – e pertanto destinato al sacrificio – creatura mite, paziente, umile e servizievole, è dunque anche Gesù stesso, figlio di Maria.

C’è grande insistenza, nel brano evangelico, sul gesto di slegare il puledro (il verbo slegare è ripetuto ben 4 volte in poche righe); per comprendere tale insistenza occorre rifarsi al libro della Genesi, là dove Giacobbe, nel benedire i suoi figli, dichiara che non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando dai suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli, il Messia. Egli, Giuda, “lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio della sua asina” (Gn 49,11).

Il compito che Gesù dà ai due discepoli è, quindi, un segno esplicito: andate e sciogliete, perché è arrivato Colui che fu atteso. Giuda ha legato, ma ora è venuto il momento di slegare, perché ora lo scettro passa alla sua vera discendenza.

Giuda ha sempre intrapreso la strada del potere e della forza, ma è del servizio che il Signore ha bisogno: Egli è il Servo, ampiamente descritto dal profeta Isaia nei Canti del Servo del Signore, che è venuto «a servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28).

Il messaggio è chiaro: se vogliamo davvero essere anche noi parte di questa folla festante di discepoli, che accompagna Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme, stendendo i nostri mantelli – simbolo della nostra stessa persona – al suo passaggio, dobbiamo entrare nella nuova logica di questo Re di Giustizia e di Pace, rinunciando alle false lusinghe del mondo. È un invito alla conversione.

Fin dalla prima domenica di Quaresima, del resto, con il brano evangelico delle tentazioni, ci è stato mostrato come all’interno del nostro desiderio di felicità e di salvezza si insinui facilmente il tentatore, con la sua logica violenta della riuscita e del successo, che in realtà porta alla rovina dell’uomo e del mondo.

Gesù, unico vero Re di giustizia e di pace, è l’unico che davvero protegge e salva il Suo popolo, slegando l’uomo dalla sua schiavitù e mostrandoci la via che porta alla vera felicità: quella del servizio, dell’obbedienza, dell’umiltà e del perdono.

 

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