Pillole di SpiritualiTà
La grazia di Dio sarà il vostro conforto. (dalle Memorie di suor Lucia)
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LA CROCE È AL CENTRO DELLA VITA DI OGNI CREDENTE IN CRISTO
di P. Paolo Falchi icms
La Croce è l’icona e l’emblema universale della fede cristiana e rappresenta la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Con il passare del tempo e dei secoli è stata trasformata in un oggetto pregevole e spesso raffinato che molti indossano o conservano appeso alle pareti. Di bella fattura sono anche tante croci portate in processione durante solenni celebrazioni.
Ma non è sempre stato così! Agli occhi dei primi cristiani la croce rappresentava una minaccia sempre viva a ricordare i corpi sospesi dei condannati che rifiutavano di sacrificare agli dèi romani.
Ad un certo momento, un evento ha contribuito a renderla ciò che, a ragione, rappresenta: un oggetto di grande venerazione.
Era il 14 settembre 320. A Gerusalemme, l’imperatrice Elena, madre di Costantino, durante gli scavi sotto il tempio di Venere, da lei fatto demolire perché costruito sopra il sepolcro di Cristo, rinviene tre croci. Una di esse si rivelerà prodigiosa: una donna, nel toccarla, guarisce istantaneamente da una grave malattia. Non ci sono dubbi: è la Croce di Nostro Signore! Ciò che accadde dopo furono le grandi cerimonie, ostensioni e benedizioni con la Croce, delle quali beneficiò tutto il popolo di Gerusalemme.
La storia poi si arricchisce di tanti altri eventi, ma a noi non interessa soffermarci sulla loro descrizione. È importante, invece, constatare ciò che avvenne in seguito a questa provvidenziale circostanza: la Croce, che era stata, fino ad allora, un orrendo strumento di tortura, diventa oggetto di venerazione. I cristiani ora possono riconoscere, con ammirevole gratitudine, l’opera di salvezza su di essa compiuta dal Redentore. Da strumento di malvagia crudeltà a mezzo di speranza e di salvezza eterna.
La data del 14 settembre diventerà nel tempo, per tutti i cristiani, cattolici, ortodossi e protestanti, l’occasione per “esaltare” l’evento del Calvario e lo strumento per mezzo del quale si realizzò.
Ed è così anche oggi: non l’esaltazione di uno strumento di inaudita crudeltà ma dell’Amore che Dio ha voluto manifestare agli uomini nell’accettare di morirvi, inchiodato, per liberare l’uomo dall’oppressione del peccato e della morte. Non è quindi sadismo o masochismo, che si compiace del dolore più truce degli altri e proprio, ma bensì meravigliata gratitudine, amorosa riconoscenza che esplode nella gioiosa constatazione che il muro insormontabile del male nel mondo è stato definitivamente abbattuto.
In essa è rivelato l’amore sorprendente ed ineguagliabile di Dio che Gesù manifestò a Nicodemo con queste parole: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,13-17).
La croce, quindi, sta al centro della vita di ogni credente in Cristo; è il simbolo della vittoria di Dio e del Suo invito a seguirlo nelle quotidiane vicissitudini della propria esistenza. Esiste un profondo legame tra la Croce e l’esperienza vissuta da ogni uomo; il Signore lo ha sottolineato nel Vangelo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23).
La croce, allora, è una realtà che non appartiene solo a Gesù ma ad ogni uomo. Chi la sa accogliere, vivendola in comunione con il Cristo, sperimenta la dimensione vera dell’amore, fatta di accoglienza dell’altro e di donazione di sé.
A ragione scriveva il papa Benedetto XVI: “Dio intende costruire con ciascuno una relazione d’amore; si offre nel suo Figlio Gesù, innalzato in Croce. L’innalzare lo sguardo a Dio suggerisce una verità importante: siamo invitati a tornare a relazionarci con Lui. Basta ripiegarsi su sé stessi, alimentando inutili sensi di colpa e dimenticando che “Se il cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3,19)”.
Siamo quindi invitati ad alzare lo sguardo verso quella Croce che ci valse la salvezza eterna, sapendo gettare in Dio ogni nostra preoccupazione. In quella Croce vi è la dimensione dell’Amore con cui Dio continua ad amarci, nonostante i nostri tentennamenti e tradimenti, donandoci il sacrificio del Suo Figlio per avere in cambio la nostra salvezza.
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