Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
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UN IMPEGNO PERSONALE CHE DIVENTA UN ATTO DI VERA CARITÀ
di Sr. Caterina Gatti icms
“Formarsi per formare”: sembra quasi uno scioglilingua! Quando mi è stato sommariamente proposto questo tema, devo aver fatto una faccia un po’ perplessa, da un lato perché mi sarei aspettata un altro argomento, dall’altro perché dentro la mia testa pensavo: “E cosa scrivo?”.
Tanto per iniziare, visto che ogni parola ha un suo significato, mi sono affidata al vocabolario, andando a cercare il verbo “formare”, che vuol dire sinteticamente “dare forma a un oggetto; lavorare, modellare la materia per ridurla alla forma voluta”.
Educazione Vs Formazione
Chiuso il dizionario online, mi sono detta: è già un buon inizio! Sì, perché questo mi permette anzitutto di precisare che i termini formare ed educare non sono sinonimi, come a volte erroneamente si pensa. “Educare”, infatti, deriva dal latino educere, che in parole semplici significa “tirar fuori, condurre”, e possiamo dire che l’educazione riguarda primariamente i bambini e i ragazzi. Compito primario di genitori, insegnanti o educatori (catechisti, allenatori, capi scout, ecc.), essa consiste nell’estrarre ciò che la persona ha già dentro in germe. Educare, quindi, non significa propinare contenuti che vengono “introdotti” dall’esterno ma, al contrario, implica la scoperta delle potenzialità dei bambini o dei ragazzi che si hanno davanti, per farle in qualche modo “fiorire”, tirandole fuori.
Diversa è la formazione che, invece, presuppone già un’educazione, per cui si rivolge primariamente a persone adulte. Come dicevamo, “formare” significa dare forma a qualcosa, per cui “formarsi” equivale a portare a maturità di forma la nostra persona. La formazione, quindi, implica una sorta di studio o di aggiornamento, aventi come oggetto dei contenuti specifici che ci arrivano dall’esterno. È molto ben compreso, questo, in ambito lavorativo, dove le aziende o gli enti pubblici spesso offrono ai dipendenti dei corsi di formazione professionale, proprio per essere sempre al passo con i tempi.
È però interessante approfondire il tema proprio nell’ottica in cui è stato chiesto di affrontarlo, ossia: “formarsi per formare”. Credo che la formazione, per se stessa, abbia sempre lo scopo di portare a miglioramento la persona; ma se il fine del mio formarmi è anche quello di poter poi, a mia volta, diventare in qualche modo formatore di altre persone, allora la cosa si fa ancora più interessante. Anzitutto, perché va a toccare il tema fondamentale, per noi cristiani, della carità. Formare una persona significa primariamente compiere un atto o, a volte, un dovere di carità (come nel caso di “ignoranza” su certi argomenti fondamentali).
Formazione catechetica e apologetica
Mi sono chiesta: quali sono gli ambiti in cui non solo una suora o un sacerdote, ma anche un genitore, o un laico, devono formarsi per poi formare altri? Ritengo che ci possano essere molte risposte, ma occorre sicuramente partire dalla realtà che ci circonda, la quale sempre ci interpella. Anzitutto, un campo in cui un cristiano ha la necessità e, direi, l’obbligo di formarsi, è quello della catechesi, della fede. Guardando al contesto storico in cui viviamo, ci accorgiamo di come vi siano teorie discordanti anche in ambito ecclesiale, dove a volte circolano idee non in linea col Magistero della Chiesa o con la Scrittura o il Catechismo della Chiesa Cattolica... Formarci in quest’ambito ci aiuta ad essere sempre saldi e a non vacillare quando siamo bombardati da articoli, opinioni, critiche, estremismi (pro/contro la Chiesa, la dottrina o il Papa) e via dicendo. Inoltre, diventa compito nostro quello di formare le persone che, magari, stanno cercando un aiuto nel vivere la loro fede in questo periodo di incertezze e confusione.
Ancora, è necessario formarsi su temi di attualità e apologetica, con uno sguardo attento sulla realtà che è in continua evoluzione: sentiamo parlare ormai quotidianamente di gender, di utero in affitto, di movimenti LGBT (oppure LGBTQIA+, termine in continuo mutamento, con aggiunta di lettere, di "+" e quant'altro, ormai simile a un codice fiscale o a un codice a barre...), di intelligenza artificiale (AI) e via dicendo... La formazione in questo campo è davvero importante non solo per poter interloquire con qualcuno senza parlare di opinioni personali che non si fondano su verità (altrimenti si ha il relativismo: è giusto ciò che penso io), ma anche per combattere le “eresie” di questo tempo, che cercano di manipolare e distorcere totalmente la realtà oggettiva della persona umana e delle cose.
Formazione “digitale” e culturale: non dimenticare le proprie radici!
Viviamo, inoltre, in un mondo che ormai è completamente digitalizzato, è sotto gli occhi di tutti, eppure a volte non siamo particolarmente ferrati in materia. Lo smartphone con facilità è lasciato in mano anche a bambini di 5-6 anni, che magari possono incappare in contenuti non adatti alla loro età, oppure è regalato ad adolescenti che non hanno ancora la maturità necessaria per poterlo usare senza diventarne dipendenti. Un genitore ha il dovere di formarsi bene su rischi e pericoli nell’utilizzo di un mezzo tanto potente (di fatto, è un mini-computer!), anzitutto per se stesso, e poi per i figli, così come deve spendere del tempo per capire il funzionamento dei vari social, specialmente quelli che vanno in voga tra i più giovani, come TikTok, Instagram, Snapchat, e chi più ne ha più ne metta! Magari chi è più incline a recepire funzionamenti, significati, o ha già più dimestichezza nell’uso di questi strumenti, dovrebbe mettere in conto di aiutare altri adulti a farlo.
Un altro aspetto importante sul quale spendere tempo nella formazione è anche quello della cultura, per non perdere le proprie radici e riuscire a trasmettere il bagaglio culturale della propria terra di origine (regione, paese) ai propri figli o nipoti. Papa Francesco spesso ha parlato di questo tema, sottolineando come “senza le radici non si può vivere: un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato” (Omelia a S. Marta, 5 ottobre 2017). I giovani d’oggi sono ormai cittadini del mondo, abituati a viaggiare e vivere fuori regione o anche all’estero per questioni di studio o di lavoro. Sono informatissimi su ciò che accade in ogni parte del pianeta, ma magari non sono adeguatamente formati sulle loro origini, sugli aspetti culturali che, volenti o nolenti, in qualche modo incidono anche sul nostro carattere, sul modo di fare, sulle abitudini, e a volte possono anche creare difficoltà relazionali. Formarsi in tale ambito per poi saper tramandare il tutto alle nuove generazioni è fondamentale, costituisce la memoria di una famiglia, di un paese, di una regione, di un popolo.
Formazione “a tutto tondo”: riportare l’uomo a Dio tramite la ragione
Potremmo continuare l’elenco degli argomenti in cui è bene formarsi, ma credo che la cosa fondamentale sia l’aver preso coscienza della necessità di guardare al mondo in cui viviamo, avendo ben presente la realtà, il contesto socio—politico e religioso o culturale, e lasciarci interpellare da ciò che ci circonda. Verranno da sé gli ambiti in cui è necessario che spendiamo del tempo per la nostra formazione, perché magari ci accorgiamo di essere carenti o non aggiornati, con lo scopo anche di essere d’aiuto ad altre persone.
Un cristiano, se vuole raggiungere la santità, non deve dimenticare che accanto alla preghiera, alla vita spirituale, c’è anche una vita umana che va portata a pienezza. La formazione rientra specialmente in questo secondo ambito, e non è mai da vedersi come un qualcosa di accessorio e non importante: essa diventa parte integrante del cammino. Il Signore ci chiama ad essere apostoli nel mondo, qualsiasi sia il nostro stato di vita, e spesso la prima forma di apostolato, specie ai giorni nostri, in cui vi è una perdita generale della fede e dei suoi contenuti, è proprio quella di riportare a galla la verità delle cose e della persona, aiutando l’uomo e la donna del nostro tempo a ragionare con la propria testa. Un mio concittadino roveretano di venerata memoria, il beato Antonio Rosmini (1797-1855), ebbe l’intuizione che vi è una carità molto importante da perseguire: la carità intellettuale. Il suo compito, datogli dallo stesso Sommo Pontefice, fu quello di impegnarsi per riportare l’uomo a Dio tramite la ragione. Credo che, per i tempi in cui viviamo, questo messaggio e questa missione siano davvero attuali.
Il Beato Alberto Marvelli
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