Pillole di SpiritualiTà
La grazia di Dio sarà il vostro conforto. (dalle Memorie di suor Lucia)
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Il dono del celibato sacerdotale
di p. Alberto Rocca icms
Come narrano i Vangeli, Gesù chiamò i suoi primi Apostoli per fare di essi dei “pescatori di uomini” (Mt 4, 19; Mc 1, 17; cf. Lc 5, 10); essi “lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5, 11; cf. Mt 4, 20. 22; Mc 1, 18. 20). Lo stesso Pietro disse a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mt 19, 27; Mc 10, 28; cf. Lc 18, 28). Gesù gli rispose affermando quali distacchi e separazioni erano necessari “a causa mia – disse – e a causa del Vangelo” (Mc 10, 29). Questi distacchi andavano ben oltre i beni materiali, come la “casa” o i “campi” e coinvolgevano anche le persone più care: “fratelli o sorelle o padre o madre o figli”, – in Matteo e Marco – “moglie o fratelli o genitori o figli”, – in Luca (18, 29). Non da tutti i suoi discepoli Gesù esigeva la rinuncia radicale alla vita in famiglia. Da tutti esigeva il primo posto nel cuore: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10, 37). L’esigenza di rinuncia effettiva è propria della Vita apostolica e della Vita di speciale consacrazione, perché “Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello” non lasciarono solo la barca in cui “riassettavano le reti”, ma anche il loro padre (Mt 4, 22; cf. Mc 1, 20). Nel Vangelo vi sono diversità di vocazioni: solo alcuni sono chiamati a questi distacchi radicali dallo stesso Gesù, che autorevolmente ne indica anche la forma nella prospettiva apostoliche per il Regno dei Cieli.
“EUNUCHI” PER IL REGNO
Su queste basi la Chiesa ha ritenuto fin dall’inizio – e ritiene – che il celibato sacerdotale rientri nella logica della consacrazione sacerdotale e della appartenenza totale a Cristo, nella prospettiva del suo mandato di evangelizzazione. Nel Vangelo secondo Matteo, quasi a preludio del brano sulla separazione dalle persone care, Gesù esprime un’altra richiesta specifica: la rinuncia al matrimonio e dice che “Vi sono degli eunuchi che si sono resi tali a causa del Regno dei cieli” (Mt 19, 12) chiamati al celibato, per dedicarsi totalmente a servizio del “Vangelo del Regno” (cf. Mt 4, 23; 9, 35; 24, 34). Anche san Paolo Apostolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, narra di sé e del suo cammino sulla scia della rinunzia per il Regno. Ne esprime anche i contenuti di coerenza: “Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore. Chi è sposato, invece, si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!” (1 Cor 7, 32-34). Ribadisce, anche dalla sua esperienza diretta, che il chiamato come Sacerdote ad occuparsi delle cose del Signore non conviene che “si trovi diviso”.
L’ESSENZA DELL’ORDINE SACRO
Nelle Chiese orientali molti Presbiteri sono legittimamente coniugati secondo il Diritto Canonico proprio; tuttavia, i Vescovi orientali vivono nel celibato e così anche molti Sacerdoti. È una differenza di disciplina, che si spiega con un fatto: la perfetta continenza non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, legata a condizioni di tempo e di luogo valutate dalla Chiesa e altra è la legislazione della Chiesa orientale in materia di disciplina celibataria del clero, come fu finalmente stabilita dal Concilio Trullano dell’anno 692 (Paolo VI, Sacerdotalis coelibatus). Essa non appartiene all’essenza del sacerdozio come Ordine, ma non vi sono dubbi circa la sua convenienza e congruenza con le esigenze dell’Ordine sacro nella logica della consacrazione. Infatti, secondo il Concilio, l’impegno del celibato, derivante da una tradizione che, come abbiamo scritto sopra, si ricollega a Cristo, è “particolarmente confacente alla vita sacerdotale. È infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, e fonte di fecondità spirituale nel mondo” (Presbyterorum Ordinis, 16).
È lo stesso Gesù l’ideale di questa condizione di vita consacrata dei Sacerdoti: vivendo da celibe, poté dedicare tutte le sue forze alla predicazione del Regno di Dio e al servizio degli uomini, con un cuore aperto all’intera umanità, capostipite di una nuova generazione spirituale.
UN VERO CARISMA
I Vangeli stessi non parlano mai di mogli o di figli a proposito dei Dodici, anche se raccontano che Pietro, prima di essere chiamato da Gesù, era un uomo sposato e i Dodici abbiano rinunciato, per seguirlo, a vivere in famiglia “per il Regno dei Cieli”, quali primi partecipi del suo sacerdozio.
Questa proposta del Signore verso un ideale del celibato, legato al nuovo sacerdozio, si è affermata sempre più nella Chiesa. Nella prima fase di diffusione del Cristianesimo un gran numero di Sacerdoti era di uomini sposati, scelti e ordinati sulla scia della tradizione giudaica. Così nelle Lettere a Timoteo (1 Tm 3, 2-33) e a Tito (Tt 1, 6), tra le qualità degli uomini prescelti come Presbiteri, vi era quella di essere buoni padri di famiglia, sposati a una sola donna.
Guidata dallo Spirito Santo, per corrispondere meglio all’ideale e ai “consigli” proposti dal Signore, la Chiesa ha progressivamente sviluppato la disciplina del celibato. Emerge, quindi, non solo la conseguenza di un fatto giuridico e disciplinare: era la maturazione di una coscienza ecclesiale. Non motivi prettamente storici e pratici, ma soprattutto ragioni derivanti dalla congruenza tra celibato ed esigenze del sacerdozio con un vero e proprio carisma celibatario, come afferma San Paolo VI nella Sacerdotalis coelibatus (n. 62).
I documenti della Chiesa più recenti e autorevoli, a cominciare dal Concilio Vaticano II e dal Catechismo della Chiesa cattolica (CCC), esprimono in termini chiari che: “Con la verginità o il celibato, osservato per il Regno dei cieli, i Presbiteri si consacrano a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a Lui con un amore non diviso, si dedicano più liberamente in Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo Regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo” (Presbyterorum ordinis) ed “evocando così quell’arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà pienamente nel futuro, per il quale la Chiesa ha come suo unico Sposo Cristo... diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio” (CCC 1579).
FECONDITÀ SPIRITUALE
San Giovanni Paolo II sintetizzava così la ricchezza del celibato, che custodisce, promuove e realizza «l’adesione più piena a Cristo, amato e servito con un cuore non diviso (cf. 1 Cor 7, 32-33), la disponibilità più ampia al servizio del Regno di Cristo e, all’adempimento dei propri compiti nella Chiesa, la scelta più esclusiva di una fecondità spirituale (cf. 1 Cor 4, 15), la pratica di una vita simile a quella definitiva nell’al di là, e perciò più esemplare per la vita nell’al di qua. Ciò vale per tutti i tempi, anche per il nostro, come ragione e criterio supremo di ogni giudizio e di ogni scelta in armonia con l’invito di “lasciare tutto”, rivolto da Gesù ai discepoli e specialmente agli Apostoli. “La legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente conservata”» (Udienza Generale, Sabato 17 luglio 1993). San Giovanni Paolo II, riconosceva che, pur non minimizzando le difficoltà nei nostri tempi non solo a vivere il celibato nei modi proposti da Gesù Cristo, ma anche a comprenderlo nella sua ricchezza, vi è anche una sorta di sfida che la Chiesa lancia alle tendenze, alle mentalità e alle malie del secolo, con una sempre nuova volontà di coerenza e di fedeltà all’ideale evangelico.
Lo stesso Papa concludeva che è necessario «chiedere la grazia di capire il celibato sacerdotale, che senza dubbio include un certo mistero: quello della richiesta di audacia e di fiducia nell’attaccamento assoluto alla persona e all’opera redentiva di Cristo, con un radicalismo di rinunce che agli occhi umani può apparire sconvolgente. Gesù stesso, nel suggerirlo, avverte che non tutti possono capirlo (cf. Mt 19, 10-12)».
Sembra quindi riduttivo e rischioso, in questa prospettiva, trattare oggi del celibato in termini puramente disciplinari o di prescrizione temporanea, mettendo in secondo piano la ricchezza evangelica e carismatica che custodisce, promuove e contiene e che, generati in Cristo, porta ad una speciale fecondità spirituale chi vi è chiamato.
Tratto dal “Maria di Fatima” – dicembre 2023
SAN BERNARDINO E IL CRISTOGRAMMA IHS
La devozione per il Santo Nome di Gesù
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