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Il Beato Alberto Marvelli

FACEVA TUTTO PER GESÙ

di Alberto Pizza

Un grande modello di vita cristiana è la testimonianza del Beato Alberto Marvelli, la cui memoria liturgica ricorre il 5 ottobre. La Carità, su tutte, è la virtù che lo ha contraddistinto maggiormente, insieme all’amore per il prossimo, la misericordia per i deboli, la dedizione ai suoi impegni e anche la grande fede in Dio e nella Chiesa.

Alberto nacque a Ferrara il 21 marzo 1918: era una famiglia numerosa la sua, difatti fu il secondo di sette fratelli. Ricevuta la Cresima a soli sei anni, fu costretto a trasferirsi in giro per il Nord Italia, per via del lavoro paterno. All’epoca si era soliti ricevere l’Eucaristia dopo la Cresima, così fece anche Alberto che, nel 1927, a Mantova, per la prima volta, fece la Comunione.

La famiglia si stabilì in via definitiva a Rimini; tuttavia, il Signore aveva riservato tutt’altro destino al piccolo Alberto. Era un bambino normale, trascorreva la sua vita impegnandosi negli studi – frequentò infatti molte scuole di matrice cattolica nel corso dei traslochi – ma la sua “bussola” ogni volta rimaneva Gesù.

In età adolescenziale, venne a mancare il padre Alfredo, per motivi di salute: questo momento è cruciale per la vita del ragazzo che, d’ora in avanti, si ripromette di caricarsi della responsabilità della famiglia, insieme alla mamma.

Dietro questo gesto, non c’è l’induzione di un momento non particolarmente felice (e quindi una scelta che potrebbe sembrare apparentemente obbligata): no! C’è molto di più: Alberto vuole dare la vita per servire il Signore! Quando ha solo 15 anni, capisce che l’unico modo che ha per santificarsi è quello di vivere il messaggio evangelico intensamente, rinunciando a tutto pur di non cadere nel peccato: anche alla vita, se necessario!

Il ragazzo è forte, ha già le spalle larghe, quando inizia a frequentare altri giovani per

portarli con lui in parrocchia; qui, aderì a diverse associazioni cristiane, quali il Circolo

“Don Bosco” e l’Azione Cattolica: a diciotto anni venne nominato presidente della sezione parrocchiale. A scuola, era uno degli studenti più diligenti, ma era anche molto generoso, aiutava sempre chi era in difficoltà.

Finito il ginnasio, voleva iscriversi all’Accademia Navale di Livorno, ma non venne preso per via del suo astigmatismo; decise quindi di iscriversi a Ingegneria meccanica, a Bologna, entrando a far parte della Federazione Universitaria Cattolici Italiani. Per mantenersi, non cercava aiuti dalla mamma, rimasta oramai vedova, bensì lavorava all’interno di stabilimenti industriali: in particolare, lavorò per la Bagnagatti, nel milanese. Anche qui, diede la dimostrazione del suo animo puro e buono: ogni qualvolta un operaio avesse avuto bisogno di un aiuto, di una parola o anche di un semplice abbraccio, lui era il primo a rendersi disponibile. Faceva tutto per Gesù: addirittura, parlava anche con il Direttore d’azienda dei singoli problemi dei suoi colleghi! Non mancava di elargire rimproveri e di offrire consigli quando vedeva un suo amico prendere una cattiva strada…

Dopo aver prestato servizio militare – in un ambiente nel quale portò avanti i suoi ideali cattolici – lavorò per la FIAT, dove il suo operato, seppur breve, fu ricordato con grande ammirazione. Tornò a Rimini nel 1942, per assistere la mamma, rimasta con i due figlioletti più piccoli: gli altri fratelli entrarono tutti nell’esercito. Fu richiamato alle armi anche lui e qui salvò la vita a centinaia di ragazzi, falsificando i documenti dei soldati destinati a combattere per Mussolini, a Salò. Venne scoperto e incarcerato, ma a causa di un allarme di bombardamento, riuscì ad evadere.

Nel 1943, arriva la fase più difficile della sua vita: Rimini, la sua città, è devastata dalle

bombe, oltre l’ottanta per cento degli edifici è distrutto. Alberto è una delle poche luci

che si intravedono tra le macerie fisiche e spirituali di gente che non ha più niente.

Era il primo a preoccuparsi di curare l’anima delle persone, ancor prima di salvarli dalla miseria: a ogni ora del giorno – e della notte – bussavano a casa sua e lui accoglieva chiunque, senza fare distinzioni e senza lamentarsi. Con la complicità di sua mamma, nascose due soldati che dovevano essere giustiziati, ma sua mamma dopo questo evento si preoccupò sempre di più per il figliolo. Alberto la rasserenava con la più spensierata delle risposte: “Tranquilla mamma, io torno sempre a casa!”.

Pregava il Santo Rosario in ogni momento libero che riusciva a ritagliare per sè. Divenne membro del Consiglio Comunale come rappresentante della Democrazia Cristiana. Rifondò l’Università, collaborò con la Società Operaia del Getsemani, riprese l’attività con l’Azione Cattolica e fondò il reparto Operaio Diocesano di Rimini. Divenne anche docente all’Istituto Tecnico “Alberti” di Rimini: qui fu un punto di riferimento per i suoi alunni e amico dei suoi colleghi.

Riuscì a dedicare il suo amore anche a una ragazza, conosciuta in vacanza, Marilena Aldè, tuttavia quest’ultima più volte lo respinse. Alberto interpretò il rifiuto come un possibile invito del Signore alla vocazione sacerdotale. In realtà, attraverso un percorso

spirituale, capì che era destinato al matrimonio, ma Marilena continuò a respingerlo.

Anche qui Alberto ci ha lasciato una lezione importantissima: Amore – inteso come forma più alta dell’affetto che proviene in primis da Dio – è sinonimo di Libertà. Chi ama dice “ti voglio bene”, non si ferma a un ben più egoista “ti voglio”.

La sera del 5 ottobre del 1946, fu coinvolto in un tragico incidente, nel quale riportò un trauma alla testa e si spense dopo due lunghe ore di agonia, nelle quali ha offerto tutto quanto il dolore a Dio e alla Sua Misericordia.

Tutta Rimini partecipò spiritualmente al suo funerale; successivamente i resti furono sepolti nel cimitero cittadino e solo più tardi posti nella Chiesa di Sant’Agostino.  

 

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