Pillole di SpiritualiTà
Coltiva l'intimità con lo Spirito Santo — il Grande Sconosciuto — perché è Lui che ti deve santificare. (San Josemaría Escrivá)
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La differenza è una grande scuola: si tratta di imparare l’io attraverso l’altro e l’altro attraverso l’io.
di Suor Caterina Gatti icms
“Donna non si nasce, lo si diventa”. Era ciò che, alla fine degli anni Sessanta, la filosofa e femminista francese Simone De Beauvoir sosteneva, intendendo eliminare il dato biologico. Per la De Beauvoir il fatto di essere donna o uomo è semplicemente frutto dell’educazione ricevuta, per cui non esistono una natura maschile e una natura femminile, ma si diventa donna o uomo in relazione alla situazione storica, alla cultura, all’educazione, alla società in cui si vive: una tesi estrema, dunque, che nega l’esistenza di una struttura maschile e di una struttura femminile. In questo pensiero è contenuta, in germe, la teoria del gender, che si svilupperà poco più tardi, verso il 1975: la De Beauvoir poneva già una distinzione tra quello che è il sesso, inteso come fatto biologico, e il genere, inteso come fatto sociale. Dobbiamo però riconoscere che, almeno in parte, la sua affermazione – “donna non si nasce, lo si diventa” – è corretta, ma cerchiamo di capire in che senso.
Se è vero che si nasce donna da un punto di vista fisico, biologico, è altrettanto vero che occorre anche diventare donna, portando a maturazione la propria identità femminile: “si nasce maschi o femmine, si diventa uomini o donne” (Mariolina Migliarese, psicoterapeuta e neuropsichiatra infantile). Lo stesso si dica per un uomo: il bambino di sesso maschile dovrà, nel corso degli anni, gradualmente, far maturare la propria identità maschile. È da tener presente, infatti, che oltre al sesso corporeo vi è anche quello psicologico, che consiste nella coscienza di appartenere a un determinato sesso. Sulla formazione del sesso psicologico (che inizia verso i 2-3 anni) ha influsso non solo il sesso corporeo, ma anche il rapporto con genitori e fratelli, l’ambiente, l’educazione ricevuta.
Parità non è uguaglianza: l’importanza della differenza. Il femminismo è nato col buon intento di valorizzare la donna, di farla uscire dalla situazione di inferiorità rispetto all’uomo: alla base vi era un’esigenza di giustizia. Ma si è giunti erroneamente all’idea che parità di diritti significa uguaglianza. Invece la parità consiste nel dare pari dignità a due identità che sono differenti: “maschio e femmina lo creò” (Genesi 1.27). L’essere umano è creato a imago Dei - ed è verissimo - ma non dimentichiamo che è creato in modo differente tra maschio e femmina! Nella Mulieris Dignitatem, Giovanni Paolo II afferma che la femminilità e la mascolinità sono due modi di essere “persona”: non si possono allora eliminare le differenze che stanno all’origine della creazione della persona! Dire che “parità” significa “uguaglianza” significa voler affermare che non vi è alcuna differenza tra uomo e donna. “Disuguaglianza è diverso da differenza: disuguaglianza è disvalore, è offesa della pari dignità di ogni essere umano, è discriminazione. Differenza è ricchezza, è valorizzazione, è specificità, è dono. [...] La differenza, come la scelta, comporta limiti, ma soprattutto ricchezze” (Mariolina Migliarese). Se Dio ha creato l’essere umano come uomo e come donna – e, dunque, con delle differenze – è certamente per un bene: “Il disegno originario di Dio nel crearci sempre e solo come maschi o come femmine vuol educarci a capire il peso dell’io e il peso dell’altro. La differenza sessuale si rivela così come una grande scuola. Si tratta di imparare l’io attraverso l’altro e l’altro attraverso l’io” (Card. A. Scola).“La sessualità caratterizza l’uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche su quello psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione. Tale diversità, connessa alla complementarità dei due sessi, risponde compiutamente al disegno di Dio secondo la vocazione a cui ciascuno è chiamato” (Sessualità umana: verità e significato, 13).
Imago Dei: se - e solo se - “esseri in relazione”. La differenza sessuale non è un dato negativo, ma è e va colta quale ricchezza, voluta appunto da Dio stesso. Anzi, è proprio questa diversità che permette di entrare in relazione, perché è solo quando ci si riconosce “altro da” che si può entrare in relazione. Ciò è necessario anche nel rapporto con Dio: solo riconoscendosi “altro” rispetto a Lui si può entrare in relazione con Lui.
Il brano di Genesi 2, però, ci dice ancora qualcosa in più: l’uomo non può esistere “solo” (cfr. Gn 2, 18), ma può esistere solamente come “unità dei due”, cioè solo in relazione ad un’altra persona umana. “Si tratta di una relazione reciproca: dell’uomo verso la donna e della donna verso l’uomo. Essere persona ad immagine e somiglianza di Dio comporta, quindi, anche un esistere in relazione, in rapporto all’altro «io»” (cfr. Mulieris Dignitatem, 7). Questo brano dell’Antico Testamento fa capire, in modo inequivocabile, che si è immagine di Dio non solo perché maschio e femmina, in quanto maschio e femmina, solo se maschio e femmina, ma anche se e solo se “esseri in relazione”: “Il loro rapporto più naturale, rispondente al disegno di Dio, è l’«unità dei due», ossia una «unidualità» relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante” (cfr. Lettera alle Donne, 8). In altre parole, la complementarietà e la reciprocità vengono ad essere condizione essenziale per giungere alla pienezza di umanità.
Non creiamo barriere relazionali! Sembra, questo, un discorso che debba riguardare solamente chi è sposato, un discorso inerente al rapporto uomo-donna all’interno del matrimonio. In realtà il libro della Genesi pone le basi antropologiche, valide per tutte le persone, indipendentemente dalla chiamata: fonda la struttura antropologica maschile e femminile, sulla quale poi si innesta la vocazione specifica di ognuno (al matrimonio, alla vita consacrata o sacerdotale). Ciò significa che vi è, anche per chi è chiamato alla sequela Christi, la necessità della relazione e della complementarietà. Si tratta, in questo caso, non tanto o non solo di relazionarsi con persone dell’altro sesso, quanto di non sminuire quella che è la ricchezza della complementarietà e della differenza tra i due sessi. In altre parole: chi, anche a livello concettuale, sminuisce l’altro sesso o il valore del matrimonio o quello della sessualità, in realtà è come se ponesse delle barriere relazionali che gli impediscono di essere pienamente “a immagine di Dio”. Si tratta della mentalità single, dove ognuno basta a se stesso. Anche nelle persone interamente consacrate a Dio, quindi, deve essere presente - almeno a livello concettuale - la grandezza e la bellezza della reciprocità, della relazione tra uomo e donna, del matrimonio e della sessualità. “Quando non si ha stima del matrimonio, non può esistere neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde significato il rinunciarvi per il Regno dei Cieli” (Sessualità umana: verità e significato, 34).
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