Pillole di SpiritualiTà
La grazia di Dio sarà il vostro conforto. (dalle Memorie di suor Lucia)
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di P. Enzo Vitale icms
Fame d’aria! Avete mai sentito questa espressione? Eppure, dopo tutto quanto accaduto durante la pandemia non dovrebbe essere ai più estranea. Si tratta di quella sensazione in cui, letteralmente, ti manca l’ossigeno. Vorresti introdurre aria nei polmoni, ma non riesci. A fatica aspiri eppure sembra che non respiri… perché, in effetti, non respiri. È la sensazione che provano coloro che stanno affogando, sono sott’acqua, vogliono aria, e l’aria non c’è. Ed è in questi frangenti che ci rendiamo conto che noi respiriamo regolarmente, continuamente, senza far rumore, qualcosa che ci tiene in vita e di cui neanche ce ne rendiamo conto.
Mentre per il cibo c’è qualcosa che ci spinge a mangiare, con l’ossigeno è tutto così naturale da sembrare inutile, fino a quando, però, non ne comprendiamo l’importanza per mancanza.
Oltre all’aria, però, c’è altro che ci tiene in vita – o meglio – ci tiene “vivi”, senza che ce ne accorgiamo. Noi esistiamo e viviamo perché siamo al centro del pensiero di Qualcuno: se solo per un attimo questo Qualcuno si dimenticasse di noi, per noi sarebbe la fine.
Ci tiene in vita anche se noi siamo distanti da Lui, anche se riteniamo essere bastanti a noi stessi, sufficienti e, allo stesso tempo superbi e presuntuosi.
E la dimostrazione dell’amore di Dio nei nostri confronti passa proprio attraverso il nostro esistere, il nostro vivere.
A differenza, però, dell’aria (e, quindi, della “fame d’aria”) noi continuiamo ad andare avanti nelle nostre attività quotidiane di lavoro, impegni, famiglia, sport, divertimento, hobby, senza (purtroppo!) renderci conto di questa fondamentale verità.
Dio non si fa sentire: e sapete perché? Ci ha creati liberi. E questa libertà è tanta e tale da arrivare al punto di permetterci di ignorarlo del tutto. E così, l’essere umano che vive grazie a Dio, arriva al punto di vivere come se Dio non esistesse.
Ci sono alcuni cristiani che credono di poter fare il “minimo sindacale” nei confronti del Signore, condurre una vita che potremmo definire da “borghesi”, quasi come malati a cui è data una bombola d’ossigeno costantemente attivata, giusto per restare in vita. Si prega un pochino mattina e sera (qualcuno si illude che basti un segno di croce per aprire e chiudere la giornata), una Messa la domenica (senza esagerare, mai più di una a settimana e se ci sono impegni importanti possiamo tralasciare anche quella tanto ci andiamo sempre…), confessare giusto qualcosina (perché così ci è stato insegnato…) e, chissà, magari anche dire il rosario (proprio perché ci dicono che non se ne può fare a meno…).
Ma chiediamoci: è davvero questo essere cristiani, essere “di Cristo”?
Come possiamo dirci cristiani se non trascorriamo mai del tempo assieme a Lui?
C’è, infatti, una pratica (erroneamente considerata devozionale) che è fondamentale per vivere da cristiani, per respirare in profondità e non soltanto sopravvivere: la visita al santissimo Sacramento.
Ma “cosa” sarebbe questa cosa dal nome misterioso? È il tempo che ogni giorno (e, sottolineo, ogni giorno) trascorriamo davanti ad un tabernacolo o, meglio ancora, davanti al Santissimo Sacramento solennemente esposto. Tempo che deve essere tutto e solo Suo: telefono spento, agenda chiusa, occhi su di Lui e cuore, possibilmente, aperto nei confronti di Colui che è Giudice, Maestro, Medico e Padre dell’anima mia.
Se sono sincero mi aiuterà a capire i miei errori, se sono nell’errore mi dirà dove sto sbagliando, se sto male (nel corpo o nell’anima) sarà per me sollievo e, sempre e comunque, come un Padre che mi ama alla follia.
È talmente fondamentale questo tempo da dedicare al Signore presente nel tabernacolo che è da illusi pensare di fare un cammino serio e non dargli questo tempo (cinque, dieci, quindici e magari anche mezz’ora al giorno).
Non vi nascondo che mi fanno sorridere coloro che ritengono impossibile farlo perché le giornate sono troppo frenetiche, gli impegni tantissimi e bisogna continuamente correre dietro alle urgenze. L’esperienza di tutti dice che non si riesce a fare solo quello che non si ama fare, che non si ritiene importante e necessario: è l’attenzione e il tempo dato la misura di ogni amore. E non penso si possa dire di amare Dio dedicandogli a stento un’ora scarsa a settimana. Mi vengono in mente, mentre scrivo, le tante catechiste nel mondo che, dedite al proprio servizio, neanche vivono bene la loro unica Messa settimanale: poverine, quanto perdono e neanche se ne rendono conto, illudendosi di essere fondamentali per la santificazione di quei bambini senza rendersi conto che il loro Signore brama di avere del tempo da trascorrere solo con loro.
Il tempo, mi fu insegnato all’inizio della mia conversione, è la nostra vita e deve essere vissuto come una grazia infinita. È tanto il tempo che si spreca in futilità, telefonate, sui social network, in un riposo disordinato perché eccessivo, in chiacchiere che possono diventare veleno versato nelle nostre orecchie e in quelle di chi ci ascolta.
È oro puro, invece, per l’anima, il tempo che siamo in grado di donare al nostro Signore, che trascorriamo stando del tempo nel silenzio di una chiesa, di una cappella, di un santuario dove Lui attende che noi colmiamo la Sua e soprattutto la nostra solitudine.
SAN BERNARDINO E IL CRISTOGRAMMA IHS
La devozione per il Santo Nome di Gesù
LA VERGINITÀ PERPETUA DI MARIA
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LA VERGINITÀ PERPETUA DI MARIA
SECONDA PARTE
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