Pillole di SpiritualiTà
La grazia di Dio sarà il vostro conforto. (dalle Memorie di suor Lucia)
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«Anche tu fa’ lo stesso»
di P. Alberto Rocca icms
Il passo di Luca 10,25-37 è noto brano della sacra Scrittura, la quale, sappiamo, è «Ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Timoteo 3, 16). Il brano di san Luca è, pertanto, ricchi d’insegnamenti spirituali per la nostra vita.
Innanzitutto, vediamo la risposta di Gesù alla domanda del dottore della Legge «Chi è il mio prossimo?» a cui Gesù risponde con una parabola.
Per il giudaismo dell’epoca, il prossimo di cui si tratta nella Legge mosaica, il prossimo di un Giudeo può essere solo un Giudeo: i Gentili non possono essere considerati come prossimo non essendo destinatari dell’Alleanza. Il sacerdote e il levita sono i rappresentanti ufficiali del giudaismo e non soccorrono il malcapitato viaggiatore mentre lo fa un Samaritano, abitante di una regione attigua alla Giudea, ma abitata da persone al di fuori della purezza della pratica ebraica e considerati “inferiori”. Gesù risponde alla domanda attraverso un gesto da compiere e, poiché vi è un uomo bisognoso, la nazionalità o la religione della vittima perdono la loro importanza.
Il messaggio è che siamo chiamati noi -in prima persona- a farci prossimo di coloro che sono nel bisogno, che vanno amati a prescindere da razza, nazione, religione: secondo l’ordine della carità il nostro amore del prossimo è aperto ad ogni uomo. Lo stesso Signore insegna: «E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro.» (Lc 6,31). Nessuno è escluso dal servizio della misericordia.
Dopo la risposta dello Scriba, Gesù dice: «Anche tu fa’ lo stesso». Invita all’azione concreta, al passare dal sapere cosa fare al metterlo in pratica: è certamente bene sapere quel che si deve fare, ma che è più utile farlo, anzi, in vista della salvezza, è necessario. Scrive sant’Agostino: «Il nome di prossimo è un nome relativo e nessuno può essere prossimo (vicino) se non a chi è prossimo (vicino)». E pertanto, continua: «È dunque manifesto che questo precetto che ci comanda di amare il prossimo, concerne anche i santi angeli, che svolgono tanti compiti misericordiosi nei nostri confronti, come è facile rilevare da molti passi della Sante Scritture. E, perciò, lo stesso Dio e Signore nostro ha voluto essere detto nostro prossimo: infatti, Nostro Signore Gesù Cristo si indica come tale quando ha prestato aiuto all’uomo mezzo morto giacente nella via, ferito e abbandonato dai briganti». «All'uomo che giaceva in tale condizione portò aiuto il nostro Samaritano, cioè Gesù, che i Giudei chiamarono Samaritano, che significa custode; egli che, mosso da misericordia, passava per quella via - cioè si era incarnato per morire, lui giusto, per i nostri peccati -, sollevò da terra l'uomo giacente, lo caricò sul suo asino. Quando l'uomo se ne andava come pecora errante, egli lo prese sulle sue spalle e lo riportò nel paradiso da cui era caduto (…). Dice infatti il profeta: Egli ha preso su di sé i nostri peccati, si è addossato i nostri dolori . Dunque tu, uomo che sei portato sul giumento della misericordia, sei portato sulle spalle del Signore che ti ama, e sei conosciuto, amato dal tuo creatore e Signore, e lo conosci, lo ami a tua volta, proclama ormai: Il Signore è mia guida. Non potresti certamente dichiararlo se fossi ancora steso a terra, se non fossi stato risollevato dal Signore. (…) Egli ti trovò nudo, non vestito, piagato, non sano, giacente, non eretto, vagante nell'errore, non sul cammino del ritorno. Bada quindi di non vantarti, guardatene bene: lui che ebbe pietà di te e ti risollevò da terra mezzo morto, ora continua a portarti sulle sue spalle, se ti mantieni umile, mentre se ti vanti, ti fa cadere. Così, camminando nel timore e nella rettitudine, dopo aver detto: Il Signore è mia guida, aggiungerai con fiducia: e nulla mi mancherà».
Tutto quanto visto sopra significa che non solo dobbiamo andare incontro a quanti sono nella difficoltà, ma che dobbiamo imitare Cristo nella sua misericordia, che ha raggiunto noi per primi. Non possiamo salvare il mondo con la nostra morte, ma possiamo collaborare all’opera di Cristo mediante la nostra parola e il nostro esempio. Dobbiamo, poi, unirci alle sofferenze e alla morte di Cristo mediante la nostra riparazione. Infatti, il peccato, i nostri peccati, possono esser perdonati, ma quel perdono ha il suo prezzo, richiesto dalla giustizia. Cristo, volontariamente, ha pagato per noi, ma la salvezza da lui così procurata non si diffonde automaticamente: siamo chiamati ad associarci alla sua opera salvatrice e al suo amore redentore, collaborando con la nostra riparazione ed espiazione alla salvezza nostra e dei nostri fratelli.
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