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L’AMICIZIA TRA LE PERSONE CHIAMATE A UNA STESSA MISSIONE PERMETTE CHE ESSA SIA SEMPRE UN CAMMINO VERSO LA FELICITÀ

In ogni famiglia spirituale, come nella Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, “c’è un intimo rapporto tra fraternità e amicizia. La fraternità, da semplice relazione fondata sulla comune filiazione, diventa amicizia in virtù dell’affetto tra fratelli.

Tra fraternità e amicizia si genera, così, una relazione circolare positiva: mentre la prima dà in permanenza alle persone una solida base comune – cimentata, per esempio, nell’aver ricevuto un’uguale chiamata –, la seconda contribuisce a far sì che questi desideri rimangano nel tempo durante un cammino felice”.

 

tratto dal sito Opus Dei

Tutti sappiamo che in molte relazioni umane importanti il vincolo oggettivo che le unisce – come l’essere marito e moglie, o fratello e sorella – non genera in maniera automatica una relazione di amicizia. Anche l’esistenza, in qualche momento, di una vera amicizia non garantisce l’immunità di questa relazione dalle normali sequele del tempo che passa. Anche Benedetto XVI, quando era ancora cardinale, nel valutare la fraternità soprannaturale fra i cristiani, faceva notare con un certo realismo che «il fatto di essere fratelli non significa, automaticamente, che siano un modello di amore». E ricordava che nella Sacra Scrittura abbondano gli esempi, dal libro della Genesi alle parabole raccontate da Gesù.

Perciò la fraternità che nasce dalla comune vocazione tende a esprimersi in una amicizia che, come per le altre relazioni nelle quali interviene la libertà umana, non nasce in maniera istantanea. Richiede il paziente lavoro di andare incontro all’altro, di aprire il proprio mondo interiore per arricchirlo con quello che Dio ci vuole regalare attraverso gli altri. Le riunioni familiari di vario tipo, per esempio, nelle quali ognuno mostra la propria personalità, sono dei momenti ideali per creare dei legami di autentica amicizia. Lì non esistono temi della vita degli altri – preoccupazioni, gioie, tristezze, interessi – che non ci tocchino personalmente. Anche la capacità di creare un ambiente familiare con corridoi luminosi e porte aperte agli altri fa parte di un processo di maturazione personale, giacché «la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Quanto più le vive in maniera autentica, tanto più matura anche nella propria identità personale. L’uomo si valorizza non isolandosi, ma mettendosi in relazione con gli altri e con Dio». L’uomo si spiega a sé stesso in modo soddisfacente solo all’interno del tessuto sociale nel quale manifesta i suoi affetti.

Questo accade perché l’amicizia, quando cerca di essere autentica, fa di tutto per non uniformarsi al desiderio di impadronirsi dell’altro. Al contrario, avendo sperimentato questo grande bene, sa quello che deve dare alle altre persone: un’amicizia autentica è scuola di altre amicizie, ci insegna a godere della compagnia delle altre persone anche se, naturalmente, non con tutte si riuscirà ad avere la stessa prossimità. C. S. Lewis notava che «la vera amicizia è il meno geloso degli amori. Due amici si sentono felici quando a loro si unisce un terzo, e dopo quando si unisce un quarto, sempre che il nuovo arrivato sia qualificato ad essere un vero amico. Allora possono dire, come in Dante dicono le anime benedette, “qui arriva uno che aumenterà il nostro amore”; infatti in questo amore “condividere non equivale a togliere”». Arriva anche a paragonarlo all’immagine che ci possiamo fare del cielo, perché là ognuno dei beati aumenterà la felicità di tutti, comunicando agli altri la sua singolare visione di Dio.

Nelle sue Confessioni sant’Agostino, nel ricordare con una certa nostalgia un gruppo di suoi amici, dice senza contenere l’emozione: «di molti ne facevamo uno solo». Racconta che quello che li univa erano le lunghe conversazioni accompagnate da risate, lo scambio di affettuose gentilezze, la lettura in comune e, anche, gli improvvisi contrasti che aiutavano a mettere in evidenza tutto ciò che avevano in comune; ricorda le amare sensazioni per l’assenza di qualcuno, che poi venivano compensate della gioia al suo ritorno. «La felicità personale non dipende dai successi che otteniamo ma dall’amore che riceviamo e dall’amore che diamo»; dipende dal sentirci amati e dall’avere un focolare domestico, dove la nostra sola presenza è insostituibile, al quale ritornare sempre, qualunque cosa succeda. […] Questo è l’amabile vincolo che, umanamente, è capace di mantenere l’unità.

 

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