Pillole di SpiritualiTà
Coltiva l'intimità con lo Spirito Santo — il Grande Sconosciuto — perché è Lui che ti deve santificare. (San Josemaría Escrivá)
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- Seconda parte -
di Furio Lambruschi
- Parte Seconda -
Le Dipendenze Digitali
Il problema è che l’ “aggeggio” di cui stiamo parlando, proprio per come è progettato, rende molto difficile un uso “moderato” di sé stesso e porta, al contrario, assai facilmente ad un suo uso compulsivo, se non ad una vera e propria dipendenza: quelle, appunto, che vengono attualmente definite Dipendenze Digitali. Tutti coloro che, come il sottoscritto, operano in centri di consulenza che si occupano di problematiche dell’età evolutiva e adolescenziali, possono attestare con certezza negli ultimi decenni un aumento esponenziale di queste problematiche, anzi, talvolta viene da sorprendersi quando trovi un adolescente che non ha qualcosa di questo tipo:
Tutte queste dipendenze digitali si legano spesso a più o meno gravi forme di ritiro sociale, fino alla complessa e famosa sindrome cosiddetta dell’Hikikomori, connotata appunto da una grave forma di ritiro sociale volontario e di completa chiusura nella propria camera evitando qualunque forma di interazione col mondo esterno. La maggioranza degli Hikikomori ha tra i 15 e i 19 anni, è introversa; si isola per un periodo che può variare da sei mesi a molti anni, trascorrendo il proprio tempo navigando in rete, dormendo o ascoltando musica. Le uniche interazioni con l’esterno, se ci sono, avvengono tramite chat. In Italia, secondo alcuni studi, gli Hikikomori sarebbero oltre 100.000.
Il piano educativo
Molti genitori, ma anche educatori e insegnanti, tendono a leggere il problema delle dipendenze digitali principalmente, se non esclusivamente, come problema educativo: per cui si tratterebbe in fondo di trovare il modo giusto per indirizzare, forzare, persuadere il proprio figlio (“con le buone o con le cattive”) a limitare l’uso dei propri dispositivi elettronici.
Dialogo e regole chiare sono certamente i primi accorgimenti da tenere a mente per ogni genitore: ad esempio, mai a tavola, mai mentre si fanno i compiti, a meno che non siano di ausilio per lo studio, mai nei momenti in cui la famiglia è riunita, mai prima di andare a dormire.
Così come è importante favorire una comunicazione aperta tra genitore e adolescente, spiegando ai ragazzi cosa vuol dire un utilizzo positivo e intelligente dei vari dispositivi, prestando attenzione ai contenuti che vengono pubblicati e letti e ricordando loro che è indispensabile proteggere la privacy online per tutelare sé stessi e la propria famiglia.
Certamente il genitore dovrebbe supervisionare il figlio e monitorare il tempo che spende su tablet, smartphone e pc, imparando per primo le tecnologie a disposizione per poterle comprendere per quanto è possibile, giocando insieme a lui e condividendo per quanto possibile tali attività. Considerare i media come un’opportunità per tutta la famiglia per vedere insieme film o condividere contenuti social o messaggi in chat e video.
Per chi avesse voglia di approfondire questi aspetti psicoeducativi, ci sentiamo di consigliare i video educazionali prodotti dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con Almaviva, nell’ambito di un percorso di “salute digitale” rivolto alle famiglie.
Il piano affettivo
Ma, cosa implicano, su un piano più profondo, queste accortezze educative, apparentemente così semplici, ma contemporaneamente così disattese?
Intanto, il dialogo coi propri figli non s’inventa da un momento all’altro, ma è legato a qualità ben più profonde e durature del rapporto, che hanno a che fare con la capacità di esserci in termini affettivi del genitore e quindi con la sua sensibilità e responsività emotiva.
Inoltre, provi a riflettere ciascuno di noi come adulto, che in primo luogo dovrebbe educare offrendo un adeguato modello e quindi il buon esempio, su quanto sia effettivamente in grado lui stesso di starci in queste regole. Si pensi che negli Stati Uniti hanno registrato nel 2018 un aumento del 5% degli incidenti mortali che coinvolgono gli adolescenti: tra le cause, un utilizzo improprio dello smartphone da parte dei ragazzi impegnati ad ascoltare musica, giocare o rispondere ai messaggi mentre camminavano o attraversavano la strada. Anche qui l’esempio dei genitori si è rivelato fondamentale per i figli: gli adolescenti con genitori che solitamente parlano al telefono mentre guidano hanno maggiori probabilità di ripetere tali comportamenti.
E’ evidente, poi, che tanti genitori ci provano e ci riprovano a mettere regole chiare, uscendone spesso frustrati con frasi del tipo: “Molto più facile a dire che a fare!! Gliel’ho spiegato con chiarezza mille volte, eppure niente!”, “L’ho anche messo in punizione, smette per un po’ ma poi riattacca come prima o anche peggio!”, “Se proprio glielo prendo e glielo nascondo, diventa aggressivo, lancia gli oggetti e picchia!!”.
Interessante l’inversione di causalità difensiva che spesso capita a noi adulti di fare in queste situazioni, del tipo: “E’ ansioso e aggressivo perché abusa di videogiochi violenti”. Questo, in parte, è vero ma è solo una piccola parte del problema e anzi può finire per oscurare la vera e più profonda natura emotiva e affettiva del problema, che è l’opposto: quando l’uso dello smartphone diventa compulsivo è perché acquisisce una funzione di gestione, potremmo dire di “cura” rispetto ad aree emozionali critiche ben più complesse che ci stanno sotto e di cui il ragazzo ha usualmente scarsa consapevolezza.
Potrebbe esserci talvolta tanta ansia e insicurezza legata a contesti familiari e affettivi frenetici, imprevedibili e discontinui (qui il cellulare diventa un ansiolitico immediato); talaltra ci sono sentimenti profondi e non dichiarati di solitudine e di tristezza, entro contesti familiari purtroppo affettivamente poco sensibili (e qui diventa un “efficacissimo” antidepressivo); talaltra ancora, e ciò riguarda attualmente una parte molto consistente dei nostri giovani e dei nostri sistemi familiari centrati più sull’apparenza che sulla sostanza, ci stanno sentimenti di vuoto, di noia, indefinitezza, “liquidità” e inconsistenza sul piano identitario, una drammatica mancanza di scopi e di gioiosa progettualità di vita: “Non so bene chi sono, che cosa voglio, che cosa mi piace e cosa non mi piace … !” (e qui lo smartphone diventa un modo disperato per darsi un ruolo, anche se vacuo e “d’involucro” più che di sostanza, sentirsi “qualcuno” su quel particolare social, sentirsi apprezzato e addirittura “popolare” in quel particolare ambiente virtuale di videogiochi).
Il piano spirituale
Caro genitore, cerchiamo allora insieme di guardare a “monte” del problema, piuttosto che a “valle” e cerchiamo di interrogarci su quale contesto ambientale e familiare quotidiano gli offriamo. Cerchiamo di capire, quando proviamo a togliergli il cellulare, che cosa siamo in grado di offrirgli in cambio sul piano relazionale, affettivo, degli scopi di vita e della capacità di trovare un senso alla propria esistenza. Cerchiamo di osservare non solo lui ma anche noi stessi, facendo un bilancio di cosa gli stiamo offrendo come esempio di riflessività e di moderazione nell’uso di questi strumenti, di riconoscimento e di condivisione delle nostre emozioni critiche, ma anche e soprattutto come modello esistenziale e spirituale.
A proposito di dar senso alla propria vita e a proposito di modelli, un esempio straordinario di “uso buono” del web che abbiamo a disposizione e possiamo utilizzare coi nostri giovani è quello di Carlo Acutis: “Essere sempre unito a Gesù, ecco il mio programma di vita”. Carlo era un genio dell’informatica, ma anche un campione dello spirito, e mentre spiegava ai suoi compagni programmi e comandi, orientava il discorso verso le Verità e verso Dio. Basti citare la Mostra Internazionale sui Miracoli Eucaristici da lui ideata e progettata. Usava internet con l’obiettivo di giungere a quante più persone possibili per far loro conoscere la bellezza e la gioia dell’incontro con Gesù.
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