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S. SCOLASTICA, “Colei che più amò”

La sorella di S. Benedetto

di Sr. Patrizia Innocente icms

Il giorno in cui morì S. Scolastica (era il 10 febbraio del 547), tre giorni dopo il loro ultimo incontro, S. Benedetto vide l’anima della sorella salire al cielo in forma di bianca colomba. “Ripieno di giubilo per il trionfo di lei, ringraziò Dio onnipotente, con inni di lode, e annunziò ai monaci il transito di lei. Anzi ne mandò subito alcuni, perché portassero il suo corpo al monastero e lo seppellissero nel sepolcro che egli aveva per sé preparato. Così neppure la tomba separò quei la cui mente era sempre unita in Dio”. Così ci racconta S. Gregorio Magno nei suoi “Dialoghi”, facendoci capire che S. Benedetto e S. Scolastica non erano solo gemelli di nascita (avvenuta a Norcia intorno al 480), ma anche di spirito.

Entrambi, infatti, si consacrarono a Dio, anche se Scolastica precedette il fratello, mentre lui era a Roma, impegnato negli studi di retorica. L’età precisa non ci è stata tramandata, ma S. Gregorio Magno ci assicura che la santa rispose alla vocazione religiosa “fin dall’infanzia”.

Entrambi si stabilirono prima a Subiaco e poi a Cassino, l’uno a Montecassino e l’altra nella valle sottostante, detta Primarola, fondando rispettivamente i Benedettini e le Benedettine, le quali, nel corso della storia, hanno partecipato delle benemerenze di carattere religioso e sociale che i Benedettini hanno acquistato in Europa.

Entrambi desideravano vivere solo per il Signore e, incontrandosi una volta l’anno “non molto fuori la porta, in una fattoria del monastero”, come attestato dal santo biografo, insieme ad alcuni monaci e monache che li accompagnavano, si intrattenevano lodando Dio nella preghiera e in santi colloqui, condividendo il comune ideale.

In una di quelle visite fraterne, giunti ad ora tarda ed avendo ormai già cenato, Scolastica supplicò Benedetto di non lasciarla quella notte, per continuare a parlare insieme “dei gaudii della vita celeste” fino al mattino, al che il fratello le ricordò che la Regola (scritta da lui stesso) gli impediva di pernottare fuori dal monastero.

Allora la santa monaca piegò la testa e pianse abbondanti lacrime pregando. Quando la sua testa si rialzò, sopraggiunse una tremenda tempesta, in cui nessuno avrebbe potuto avventurarsi, se non a suo rischio e pericolo; e al fratello, che le chiedeva cosa avesse combinato, rispose: “Ecco, ho pregato te e non mi hai voluto dar retta: ho pregato il mio Signore e mi ha esaudita. Ora esci pure, se puoi, e lasciami, torna pure al monastero”.

Ed ecco il commento della vicenda che ci lasciano i già citati “Dialoghi”: “Non meraviglia che una donna, desiderosa di trattenersi più a lungo col fratello, in quella circostanza abbia potuto più di lui, perché, secondo la dottrina di Giovanni, “Dio è carità” (1 Gv 4, 16), fu quindi giustissimo che fosse aggiudicata la vittoria a colei che più amò”.

Davanti a questi fatti, non sembra quasi che l’obbedienza, cardine portante della vita di donazione a Dio e del rapporto con Lui, venga messa in secondo piano? I due Santi si contraddicono? Amano tutti e due l’obbedienza? Certamente! Come risolvere la questione, apparentemente contraddittoria?

L’obbedienza è un edificio che ha come fondamenta l’amore. Allora se, come insegna S. Benedetto, nulla si può anteporre all’amore di Cristo, è questo stesso amore che esige dal nostro cuore che ricopiamo Colui che, per la nostra salvezza, ha dato la sua vita. Cosa significa? Che l’amore per Cristo dilaga in un amore sconfinato anche per gli altri, che, per quanto grande possa essere, non uguaglierà mai quello di Chi ha patito fino alla morte per ogni uomo.

Allora ringraziamo il Signore, che in questi due santi gemelli, ci mostra le due facce della medaglia dell’amore perfetto, con cui un giorno in Cielo vorrà premiare anche noi.

 

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