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San Benedetto Giuseppe Labre

di Fr. Alberto Guerrera icms

Anno 1770. Roma. Uno strano pellegrino francese si aggira per le vie della città eterna. Non chiede l’elemosina, passa da un Santuario all’altro e a chi gli domanda il perché di questa sua vita risponde: “faccio la volontà di Dio”.

Quel pellegrino – un po’ strano e molto devoto – oggi è conosciuto come san Benedetto Giuseppe Labre.

San Benedetto Giuseppe nasce ad Amettes, nel nord della Francia, il 26 Marzo 1748, primo di quindici fratelli. Il padre, Battista, notando subito nel figlio una particolare devozione per le cose di Dio, sogna per lui il sacerdozio e lo affida alle cure di un suo fratello sacerdote, al fine di prepararlo alla Prima Comunione e allo studio del latino.

A sedici anni Benedetto prende la decisione di farsi Trappista, infervorato dalla lettura dei “Sermoni” del padre Oratoriano Jeun LeJeune, ma viene rifiutato dai monaci. Sarà solo il primo di una lunga serie di rifiuti.

Uno zio materno, anch’egli sacerdote, scorse in lui una potenziale vocazione religiosa e gli consigliò di entrare fra i Certosini. Seguendo il consiglio dello zio, Benedetto andò a bussare alle porte di vari Monasteri, ottenendo sempre una risposta negativa. L’aiuto del Vescovo che l’aveva cresimato, mons. de Pressy, riuscì ad aprirgli le porte della certosa di Neuville: qui, però, iniziò a stare male, venendo assalito da una dolorosa angoscia e dal vomito. Dopo due mesi, il priore gli disse: “La Provvidenza non vi chiama al nostro genere di vita. Seguite le ispirazioni divine”.

Il nostro santo non si diede per vinto, riuscendo anche a diventare novizio nel monastero di Sept-Fonts. I primi tempi passarono tranquilli, ma poi ricominciarono le angosce, le febbri, i conati di vomito… “Non siete fatto per il nostro Monastero: Dio vi vuole altrove” fu la sentenza inappellabile dell’Abate.

Ora, pensando alla mentalità dell’uomo di oggi, che sembra considerare solo il successo e la realizzazione di ogni desiderio, potremmo facilmente pensare che Benedetto sia rimasto vittima dello sconforto e dello scoraggiamento. Qualcuno potrebbe addirittura mettere in discussione la bontà di un Dio, che prima illude il giovane – mettendo nel suo cuore la vocazione alla Vita religiosa – e poi lo delude, sbarrandogli tutte le strade.

In realtà, Dio gli sbarrò l’accesso ad alcune strade, aprendone molte, moltissime altre. C’è una massima veterotestamentaria che dice “le mie vie non sono le vostre vie”.

Dio non aveva illuso il giovane, mettendogli nel cuore un desiderio di “speciale consacrazione”: aveva solamente altre idee, meno convenzionali, sul luogo dove egli avrebbe potuto vivere la sua Vita consacrata.

Iniziò, per il nostro Santo, un lungo pellegrinaggio, che avrà la sua meta solo in Cielo. Da allora smise di essere uno sfortunato aspirante alla Vita religiosa e divenne il “vagabondo di Dio”, lo “zingaro di Cristo”, il “pellegrino della Vergine Maria”.

Visitò diversi paesi, viaggiando da un Santuario all’altro: Francia, Italia, Germania, Spagna… indossava un abito povero e lacero, camminava con una fune ai fianchi, un Crocifisso sul petto, una grossa corona del Rosario al collo e portava con sé una sacca, con dentro il Nuovo Testamento, l’Imitazione di Cristo e un Breviario. Nel suo peregrinare si fermò nel paese di Dardilly, ospite della famiglia di un futuro grande Santo, che doveva ancora venire al mondo: Giovanni Maria Vianney, il “Santo Curato d’Ars”.

Arrivò a Roma il 3 dicembre 1770 e la gente cominciò a chiamarlo “il povero del Colosseo”. Ogni anno faceva un pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto, ma poi tornava sempre nella città del Papa, perché aveva compreso che quello era il luogo che Dio aveva scelto per lui.

Qui divenne un frequentatore assiduo del pio esercizio delle Quarantore. Giungeva in chiesa prima dell’alba, meditando i misteri della Passione di Nostro Signore e della Santissima Trinità. Rimaneva inginocchio davanti al Santissimo per circa 6 ore, edificando coloro che lo vedevano. Un giorno, un sacerdote, meravigliato da tanto amore, esclamò: “ecco qui un povero che ci insegna a pregare!”

Passava tutto il giorno in chiesa e, se riusciva a convincere il sacrestano, anche le notti. La sua chiesa preferita era Santa Maria dei Monti.

Osservando quel tenore di vita così duro, molte persone gli domandavano come facesse a resistere. Un giorno un passante gli chiese se non sarebbe stato meglio entrare “in un Ordine religioso”, trovando puntualmente la risposta del santo pellegrino: “se Dio avesse voluto, Egli avrebbe disposto le cose in un altro modo.”

A chi lo accusava di mendicare per pura oziosaggine, rispondeva “è volere di Dio che io vada mendicando.” Non chiedeva neanche l’elemosina, anche se talvolta era quasi obbligato a riceverla. Gran parte di quello che gli veniva dato, lui stesso lo dava ad altri mendicanti, che riteneva più bisognosi di lui.

Il peregrinare terreno di San Benedetto Giuseppe Labre terminò il 16 aprile del 1783, mercoledì santo di quell’anno. Quel giorno, dopo aver ascoltato due Messe, si sentì male nella sua amata chiesa di Santa Maria dei Monti; accolto in casa dell’amico macellaio Francesco Zaccarelli, morirà la sera stessa.

Era finito il suo peregrinare, ma come per tutti i Santi, la sua opera continuava in Cielo: a soli settanta giorni dalla sua morte, sulla sua tomba si erano già verificate più di 30 guarigioni miracolose! Benedetto era stato un povero viandante, che aveva sempre accettato umilmente la volontà di Dio; adesso era Dio ad accogliere le sue richieste per gli uomini. Non solo: il Signore volle anche che fosse riconosciuta la sua santità qui sulla terra: Benedetto sarà beatificato da Pio IX nel 1859 e canonizzato da Leone XIII, l’8 dicembre 1881, a neanche un secolo dalla sua morte.

“Egli (Benedetto Giuseppe Labre) ci mostra che Dio da solo basta; che al di là di tutto ciò che può esserci in questo mondo, al di là delle nostre necessità e capacità, quello che conta, l’essenziale, è conoscere Dio. Egli da solo basta.” (Benedetto XVI)

 

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