Pillole di SpiritualiTà
La grazia di Dio sarà il vostro conforto. (dalle Memorie di suor Lucia)
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“VIVA CRISTO RE!”
di Sara Volpi
Quante volte ci è capitato di vedere un film sulle persecuzioni dei primi secoli dopo Cristo e pensare: “Grazie al Cielo adesso siamo liberi di professare la nostra fede senza rischiare la vita per questo! Meno male non sono nato in quegli anni ma in questi: non sarebbe stato facile!”.
Impulsivamente, questi sono pensieri naturali: alla fine, qui in Italia, per quanto il Cristianesimo sia “fuori moda” e criticato, tuttavia manifestare la propria fede è ancora lecito. Nessuno di noi rischia la vita per andare a Messa o per dire il Rosario nelle piazze: nel peggiore dei casi ci ridono dietro o veniamo presi per fanatici…
Ma, se aprissimo un po’ più lo sguardo, ci accorgeremo che in realtà dovremmo aggiungere: “Grazie, Signore, perché mi hai fatto nascere qui, in uno Stato dove posso professare liberamente il mio Credo”, perché questo non è scontato in tutto il mondo. Uno degli Stati dove, fino a pochi decenni fa, era considerato illegale praticare il Cristianesimo, è il Messico: qui, infatti, dal 1926 al 1929 si consumò un brutto conflitto interno tra Chiesa Cattolica e Stato, il quale controllava il numero di Sacerdoti in servizio nel territorio messicano e proibiva loro di celebrare la Santa Messa. Il Governo confiscò le proprietà della Chiesa e uccise tutti i Sacerdoti che si opponevano alle regole imposte e i fedeli che protestavano, con incontri pacifici e preghiere di gruppo.
I Messicani dovevano lottare per la propria fede e molti di loro divennero martiri. Tra questi un messicano si distinse particolarmente per il coraggio mostrato, anche di fronte alle torture e alla morte: un bambino che urlò, con tutto il fiato che aveva, di essere Cristiano e che la sua fede non sarebbe cambiata neanche se lo avessero ucciso. Cristo aveva già vinto la morte e il timore dei carnefici non lo avrebbe certamente fermato. Il ragazzo si chiamava José del Rio ed era nato in Messico nel 1913. La sua era una famiglia molto cristiana e José, sin da piccolo, aveva sempre pregato e letto le Sacre Scritture. Era particolarmente devoto alla Madonna di Guadalupe, attivo nella parrocchia e amava recitare il Rosario con la sua famiglia.
Quando le leggi contro il Cristianesimo entrarono in vigore, José era ancora un bambino e inizialmente non capiva bene perché tutto quello che fino al giorno prima era consentito (come l’insegnare e apprendere la religione a scuola o pregare in chiesa), fosse diventato improvvisamente illegale. Vedeva gli adulti protestare e perfino i suoi fratelli maggiori si unirono alla contestazione. Nacque nel cuore di José il desiderio di difendere la propria fede e di lottare per essa, così che nessuno potesse portargliela via. All’età di tredici anni si unì al movimento dei “Christeros”, ossia di coloro che combattevano per difendere la fede cattolica. La madre non era molto d’accordo con la scelta del figlio: pensava, infatti, che fosse troppo giovane. Ma José era ormai convinto della propria scelta: confortò la madre, dicendole che, se gli voleva veramente bene, non doveva opporsi alla sua decisione. Gli era offerta un’occasione provvidenziale, per guadagnarsi facilmente il Paradiso.
A causa della sua età, inizialmente gli furono affidati lavori di ausilio – come pulire le stalle o lucidare le armi – perché i capi pensavano che fosse troppo giovane per combattere: in fondo aveva solo tredici anni!
Fu poi affidato alla custodia di uno dei generali del movimento. Quest’ultimo, durante una battaglia, cadde da cavallo a causa di uno sparo, che colpì a morte l’animale. Il generale rischiò di essere preso, ma José gli offrì il suo cavallo per scappare via. Il ragazzo rimase, però, a piedi e non poté sfuggire all’esercito. Fu catturato, imprigionato e torturato violentemente, in modi atroci. La prigionia durò per settimane, perché si aspettavano che prima o poi rinnegasse la propria fede: ma ciò non avvenne. Dalla prigione scrisse una lettera alla madre, nella quale la esortava a non preoccuparsi per la sua morte, perché ciò lo avrebbe fatto soffrire, ma la incoraggiava piuttosto a essere forte e coraggiosa. Infine, chiedeva la benedizione sua e del padre. La famiglia tentò in diversi modi di riportare a casa il ragazzo, ma José non voleva mettere in vendita la sua fede e impose alla famiglia di non pagare nessuna somma per riscattarlo, perché la sua fede valeva più di tutto, anche della sua stessa vita.
Durante la prigionia, il padre del ragazzo nascondeva l’Ostia Consacrata nel cestino delle provviste che portava in carcere e José l’adorava per un po’, la prendeva con devozione, umiltà e gioia e pregava il Rosario ogni giorno. Nonostante il ragazzo fosse in carcere, chi passava davanti alla chiesa sentiva la sua voce cantare e intonare inni alla Madonna. Prima di essere catturato, José, vedendo la chiesa ridotta come una stalla, aveva ucciso degli animali che scorrazzavano sopra il tabernacolo. Per questa azione fu condannato a morte e il 10 febbraio 1928 fu ferito con dei chiodi sulla pianta dei piedi e fu costretto a camminare scalzo fino al cimitero. Lì venne pugnalato, ma non mortalmente: cadde nella fossa, dove poi sarebbe stato sepolto. Gli fu chiesto nuovamente di rinnegare la sua fede, ma rispose “VIVA CRISTO RE”. Dopo queste parole, gli fu sparato un colpo, sul posto stesso della sepoltura. San Jose disegnò una croce, con il suo sangue, sul suolo e morì.
Nel 2005 fu canonizzato da Papa Benedetto XVI e nel 2016 è stato canonizzato da Papa Francesco.
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