Pillole di SpiritualiTà
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene. (Sant'Agostino)
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UNA VITA OFFERTA PER LA GIUSTIZIA E PER LA PACE
di P. Riccardo Rossi icms
Óscar Arnulfo Romero y Galdámez fu beatificato il 23 maggio 2015 a San Salvador, sotto il pontificato di Papa Francesco, il quale lo canonizzò successivamente il 14 ottobre 2018 in Piazza San Pietro a Roma. La sua memoria liturgica si celebra il 24 marzo, giorno in cui fu accolto nel Regno dei Cieli, e i suoi resti sono oggi venerati nella cripta della cattedrale del “Divino Salvatore del Mondo”, a San Salvador.
EL SALVADOR
Per comprendere appieno la portata dell’eredità umana, religiosa e pastorale di Mons. Romero, è indispensabile collocarla nel contesto storico di El Salvador. Con una superficie di poco più di 21.000 km² (meno della Lombardia), questo paese ha una storia segnata da violenza e ingiustizie: mentre una ristretta élite ha prosperato grazie ai grandi latifondi e alle imponenti piantagioni di caffè e canna da zucchero, la stragrande maggioranza vive in condizioni di estrema povertà, avendo accesso a meno del 2% delle terre coltivabili.
RIASSUNTO BREVE
Nato il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios secondo di sette figli, Óscar Romero, battezzato l’11 maggio 1919 con il nome di Oscar Arnulfo, crebbe in una famiglia modesta, con un padre telegrafista e un piccolo podere. Fin da giovane, la sua profonda spiritualità lo spinse ad entrare nel Seminario Minore di San Miguel, a soli dodici anni. Nel 1937 proseguì la sua formazione nel Seminario Maggiore di San Salvador, dimostrando notevoli doti che lo portarono a essere inviato a Roma per ulteriori studi, dove rimase dal 1937 al 1943. Ricevette l’Ordinazione sacerdotale il 4 aprile 1942. Durante il periodo romano, frequentando l’Università Gregoriana, interiorizzò l’universalità cristiana e coltivò una forte devozione al Papato. A causa della guerra, dovette rientrare in patria prima di completare il dottorato in Teologia. Per oltre vent’anni, operò come parroco nella diocesi di San Miguel, guadagnandosi il rispetto per la sua integrità, ascetismo e dedizione pastorale. L’8 giugno 1967 fu nominato Segretario della Conferenza Episcopale di El Salvador, trasferendosi a San Salvador. Nel 1970 assunse il ruolo di ausiliare dell’Arcivescovo di San Salvador, scegliendo come motto episcopale “Sentir con la Iglesia”. Dopo aver ricoperto, nel 1973, l’incarico di Rettore del Seminario Maggiore, il 15 ottobre 1974 fu nominato Vescovo di Santiago de María, una diocesi situata nelle alture orientali del paese, dove venne apprezzato per la sua umiltà, vicinanza ai poveri e predicazione popolare. Infine, il 3 febbraio 1977 fu investito del ministero di Arcivescovo di San Salvador, incarico che mantenne fino alla sua tragica dipartita.
LA «CONVERSIONE»
Nell’esercizio del suo episcopato, Mons. Romero si era sempre distinto per una moderazione discreta. Tuttavia, l’uccisione del Padre Rutilio Grande, gesuita e caro amico, segnò un punto di svolta decisivo. Durante la veglia funebre, immerso nel dolore dei contadini e nel silenzio delle preghiere, comprese che il martirio del suo amico lo lasciava con la responsabilità di colmare quel vuoto. Fu in quell’istante che si affermò la sua “conversione”: da una moderazione iniziale si passò a una condanna ferma della violenza e a un appello incessante all’amore, in opposizione alle ingiustizie perpetrate dai poteri economici e politici. La sua voce divenne simbolo di denuncia e di speranza, capace di risvegliare la coscienza popolare e di unire cittadini e sacerdoti contro la repressione.
Durante i suoi successivi interventi, come nelle omelie, non perderà occasione per affermare la necessità di un’azione di amore e di rifiuto della violenza, che si contrapponga all’orrore provocato da quanti non vogliono operare per il cambiamento, per la giustizia e per la pace. La radice della liberazione e il suo orizzonte per lui sono sempre da ritrovare in Dio, non in un’idea.
Egli, che denuncia incessantemente le ingiustizie perpetrate dal potere economico e politico, ritenuto diretto responsabile delle ondate di violenza che colpiscono popolo e Chiesa, diventa così la voce dei “senza nome” e, soprattutto, personifica un atto di accusa verso quanti, apertamente, non rifiutano una vita caratterizzata da ingiustizie, terrore e violenza.
L’Arcivescovo diventa così il motore di una rinata coscienza popolare, che conduce cittadini e moltissimi sacerdoti a gridare il «Basta ya! (Adesso basta!)».
Romero, proprio per il suo messaggio di fede, diventa sempre più un personaggio scomodo.
1980
L’anno 1980 rappresenta un periodo di estrema violenza per El Salvador, un tempo in cui il governo collaborava strettamente con gruppi paramilitari come “Orden” o gli “squadroni della morte”. Durante i primi mesi dell’anno, tra gennaio e marzo, furono assassinati oltre novecento civili. Al suo rientro da un viaggio in Europa, il 17 febbraio, Romero inviò una lettera al presidente Carter, esprimendo la sua contrarietà agli aiuti forniti dagli Stati Uniti al governo salvadoregno, aiuti che, a suo avviso, alimentavano la repressione del popolo.
Successivamente, le minacce di morte si fecero ancora più pressanti, rafforzando i timori già esistenti. Mons. Lajos Kada, nunzio in Costa Rica, mise in guardia Romero circa un pericolo imminente. Un mese prima della sua dipartita, sul quaderno degli Esercizi spirituali, Romero annotò: «Il nunzio di Costa Rica mi ha messo in guardia da un pericolo imminente proprio in questa settimana… Le circostanze impreviste si affronteranno con la grazia di Dio. Gesù Cristo aiutò i martiri e, se ce ne sarà bisogno, lo sentirò molto vicino quando gli affiderò il mio ultimo respiro. […] Mi basta, per essere felice e fiducioso, sapere con certezza che in Lui è la mia vita e la mia morte; che, nonostante i miei peccati, in Lui ho riposto la mia fiducia e non resterò confuso, e altri proseguiranno, con più saggezza e santità, il lavoro per la Chiesa e per la patria». Le minacce trapelate rivelano che la sentenza di morte si appoggiava su connivenze losche, tra poteri che ne permisero l’esecuzione.
CORPO IMMOLATO, SANGUE SACRIFICATO
La consapevolezza di un destino “da martire” si fece sempre più concreta. La fermezza del suo affidamento a Dio si univa a un'intensa percezione del terrore: nelle settimane finali della sua vita, ogni suono improvviso lo gettava in uno stato di panico, simile a quello del Getsemani. Il giorno precedente al suo assassinio, Romero predicò per ben due ore e rivolse un appello memorabile ai soldati, esortandoli a non violare la legge divina: «Un appello speciale agli uomini dell’esercito… Davanti all’ordine di uccidere dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine contrario alla legge di Dio […]. In nome di Dio, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più̀ impetuosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!».
Mons. Romero viene ucciso da un sicario, su mandato dell’ex-maggiore Roberto D’Aubuisson, che si occupava di squadroni della morte e che in seguito sarebbe diventato il leader del partito nazionalista conservatore “Alianza Republicana Nacionalista”. Un proiettile esplosivo lo raggiunge vicino al cuore il 24 marzo 1980, alle ore 18,20, durante l’Offertorio della Messa nella chiesa dell’ospedale della Divina Provvidenza. Nell’omelia, aveva appena pronunciato anche queste parole: «Questa Santa Messa, infatti, questa Eucaristia è esattamente un atto di fede. Alla luce della fede cristiana, ci sembra che, in questo momento, la voce di divisione si trasformi nel Corpo del Signore, che si offrì per la redenzione del mondo; e, in questo calice, il vino si trasformi nel Sangue che fu il prezzo della salvezza. Che questo Corpo immolato, che questo Sangue sacrificato per gli uomini siano alimento per noi, affinché anche noi offriamo il nostro corpo alla sofferenza e al dolore, come Cristo: non per noi stessi, ma per dare frutti di giustizia e di pace al nostro popolo».
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