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SAN TOMMASO D’AQUINO

IL PIÙ DOTTO DEI SANTI E IL PIÙ SANTO DEI DOTTI

di Sr. Elisabetta Marzotto icms

Tommaso nasce nel 1225 dai nobili Landolfo e Teodora, conti di Roccasecca a Frosinone.

Quando ancora la mamma non sa di aspettare un bimbo, un monaco, chiamato Bono, che vive da eremita nelle grotte dei monti che circondano Aquino, le dice: “Gioisci madonna, perché tu sei incinta e partorirai un figlio che chiamerai Tommaso… Dio disporrà altrimenti della vostra volontà: egli sarà frate dell’Ordine dei Predicatori e rifulgerà per tanta scienza e santità di vita che nessuno potrà trovarsi nel mondo tra i suoi contemporanei da reggergli a confronto”.

Tommaso a cinque anni viene mandato dai Benedettini di Montecassino per essere educato come oblato, ma quando, a vent’anni, decide di entrare nell’Ordine dei Domenicani, i genitori e i fratelli lo rinchiudono nella cella del castello. Gli portano innanzi una ragazza bellissima per tentarlo contro la castità e allontanare dalla sua testa l’idea della vocazione. Ma Tommaso, preso un tizzone ardente, riesce a cacciarla via e due angeli vengono a cingere i suoi fianchi con una cintura bianca, simbolo della purezza angelica del suo cuore che manterrà per tutta la sua vita.

Nel 1244 diventa Domenicano e studia, poi, a Parigi sotto la guida di s. Alberto Magno. Silenzioso e riservato di carattere e corpulento nel fisico, i suoi compagni di studio lo scherniscono chiamandolo bue muto. Ma s. Alberto Magno, intuita la straordinaria intelligenza e capacità di ragionamento, ribadisce loro che “Tommaso è un bue muto, ma i suoi muggiti echeggeranno nel mondo!” E a lui dice: “Tommaso, tu non parli come un allievo, ma come un maestro che sa risolvere questioni molto difficili”. Anche se è conosciuto in tutto il mondo principalmente per aver redatto la Somma Teologica, in cui cerca di dare un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana, Tommaso ha scritto altre ottantacinque opere, dalle quali si evince come fede e ragione non siano in contraddizione tra di loro, ma entrambe derivino da Dio e conducano a Lui.

Tommaso stesso, quando deve scrivere, discutere, insegnare teologia e filosofia, si ferma prima davanti al Crocefisso, prega, medita, chiede ispirazione da Dio, appoggiando la sua testa sulla porticina del Tabernacolo, con la fiducia e la semplicità di un bambino. A Gesù, che durante uno di questi colloqui, gli chiede: “Tommaso, hai scritto bene di Me, quale ricompensa vorresti?”, lui risponde, senza esitazioni: “Nessun’altra che Voi, o Signore!”. Tommaso, infatti, ha capito che Dio è tutto e che solo Dio basta.

Nutre un amore profondo per l’Eucaristia. È suo l’inno Pange lingua che risuona ancora oggi nelle nostre chiese per la Solennità del Corpus Domini. Meditando sulla Passione di Gesù, celebra la s. Messa “con tale sentimento di devozione, da uscirne tutto inzuppato di lacrime, assorto nei misteri di così Sacro Sacramento e ristorato dai doni spirituali” (C. Fabro); i confratelli lo devono scuotere per fargli continuare la celebrazione. “La Passione di Cristo è sufficiente per dare una motivazione completa alla nostra vita. Nella Croce è presente ogni virtù”.

Coltiva una devozione filiale verso Maria SS.ma, cui ricorre come potente Mediatrice perché, “con quelle parole di Gesù a Cana: «Non è ancora giunta la mia ora», Gesù fa intendere che certo non avrebbe fatto il miracolo se altri, tranne la Vergine, L’avesse pregato; ma poiché la richiesta veniva da Sua Madre, lo fece all’istante”. La sua smisurata intelligenza non lo rende altero nell’insegnamento e nella predicazione: “quanto alla reputazione di sé era umilissimo, puro nel corpo e nella mente, devoto nella preghiera e prudente nel consiglio, calmo nel parlare, espansivo nella carità” (C. Fabro).

La sua sincera e profonda umiltà lo aiuta anche a mitigare il suo temperamento focoso perché “Io penso che il compito principale della mia vita sia quello di esprimere Dio in ogni mia parola e ogni mio sentimento”.

Ama e rispetta sinceramente tutti coloro che gli stanno accanto.

A Bologna, è trattato duramente da un confratello che lo accompagna per le strade della città. Ma Tommaso non si indispone e non reclama. Saranno i passanti, che lo conoscono per la fama della sua sapienza, a redarguire lo scorbutico frate.

È convinto che “Chi è perfetto nell’amore, è perfetto nella vita spirituale. La carità non conosce limite di crescita, essendo essa una perfezione dell’infinita carità, che è lo Spirito Santo. Qualsiasi atto di carità merita la vita eterna. La gioia non è una virtù distinta dalla carità: ne è un atto o un effetto, ed è a questo titolo che è citata tra i frutti dello Spirito Santo”.

È stimato come il più dotto dei santi e il più santo dei dotti per la santità della sua vita. Vive la povertà interiore ma anche esteriore, perché di quello che riceve, non trattiene nulla per sé. Per lui “l’obbedienza offre a Dio un bene maggiore che non la povertà e la castità, perché offre la volontà stessa”.

Il 7 marzo 1274 è stroncato da una malattia mentre è in viaggio verso Lione, per partecipare al Concilio che ivi si svolgerà. Nel Monastero benedettino di Fossanova, dove i confratelli lo accolgono morente, riceve il Santo Viatico. Al vedere l’Eucaristia, che il sacerdote ostende per comunicarlo, Tommaso, si inginocchia e commosso profondamente prega: “Io Ti ricevo, prezzo della mia salvezza. Te, per amore del Quale ho studiato, vegliato, lavorato, Te che ho predicato e insegnato. Non ho mai detto nulla contro di Te, ma se l’ho fatto è a mia insaputa e per ignoranza. Lo lascio alla correzione della Santa Romana Chiesa nella cui obbedienza abbandono ora questa vita. Voi siete il Re di Gloria, o Cristo! Siete il Figlio eterno del Padre!”.

È canonizzato nel 1323 e nel 1567 è dichiarato Dottore Angelico.

 

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