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TRE PASTORELLI, diversi ma COMPLEMENTARI nella fedeltà alla comune chiamata

di Mariastella Vanella

Il 20 febbraio 1920, quando non aveva ancora compiuto 10 anni, in una camera d’ospedale a Lisbona, al termine di una lunga e dolorosa malattia, nella quale aveva offerto a Dio ogni sofferenza per la conversione dei peccatori, per la pace nel mondo e per il Santo Padre, si spense - da sola e lontana dalla sua mamma e dai suoi cari - la piccola Giacinta Marto. Con la canonizzazione della pastorella e del fratellino di poco più grande di lei, il 20 febbraio, è stato istituito come il giorno della Festa dei Santi Francesco e Giacinta Marto. Chi segue il carisma di Fatima, è abituato a sentire parlare dei piccoli pastorelli, li conosce per nome: Lucia, Giacinta e Francesco.

La religiosità degli abitanti del piccolo borgo di Aljustrel, dove vivevano i piccoli, era molto profonda: intorno alla chiesa parrocchiale la comunità si riuniva nei momenti forti della vita comunitaria. La vita, nel piccolo villaggio era dura. In famiglia tutti erano chiamati a dare il proprio contributo di lavoro e di fatica: i più giovani venivano impegnati per far pascolare le greggi; i più grandi lavoravano i campi aiutando i genitori. A mezzogiorno consumavano il cibo che le mamme avevano preparato loro, poi, prima di rimettersi a giocare, recitavano insieme il santo Rosario. Nessuno avrebbe mai immaginato che questi piccoli, umili e semplici bambini sarebbero diventati protagonisti di questa vicenda spirituale che ha fortemente caratterizzato la vita della Chiesa. "Ti benedico, o Padre, (...) perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11, 25).

Un giorno piovigginoso di primavera, i tre fanciulli furono testimoni di un fatto straordinario: la prima delle apparizioni dell'Angelo che, in un certo senso, preparò i bambini alle visite della Bianca Signora che sarebbero iniziate il 13 maggio 1917. Questi tre bambini, in pochissimo tempo, si trovarono a far parte di un progetto tanto grande quanto inimmaginabile. Tre semplici creature che, pur avendo indole, carattere ed inclinazioni diverse, furono insieme i protagonisti di eventi che avrebbe portato a far conoscere il piccolo borgo di Fatima in tutto il mondo. In loro nessuna gelosia, nessuna invidia, nessuna rivalità. Il loro aiutarsi, il loro spronarsi a non smettere mai di sacrificarsi, era diventato lo scopo della loro vita facendo memoria della promessa che fecero alla Vergine durante la prima apparizione quando Ella chiese loro: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?». E alla loro risposta positiva replicò: «Allora, dovrete soffrire molto, ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto».

Da quel momento i bambini gareggiarono ad inventarsi ogni tipo di sacrificio per salvare le anime dei peccatori, uniti dal grandissimo desiderio di compiacere la Madonna. Le loro fragilità, i loro punti di debolezza, le loro predisposizioni e talenti furono messi a disposizione della Vergine. La loro diversità li “completava”, facendoli diventare complementari. Così come la loro vocazione, anche l’esperienza delle apparizioni veniva vissuta da ognuno di loro in maniera diversa: Lucia sentiva e dialogava con la Signora, Giacinta ascoltava la conversazione ma non parlava, Francesco, invece, vedeva tutto ma non sentiva nulla. 

La chiamata di Francesco era di «Consolare e far contento Gesù»; si impegnò in una intensa vita spirituale, con una preghiera talmente assidua e fervente da raggiungere una vera forma di unione mistica col Signore. Consapevole del fatto che entro breve tempo sarebbe salito in Cielo e che quindi - a suo modo di vedere - era inutile per lui andare a scuola, diceva a Lucia e a Giacinta che rimaneva in chiesa a tenere compagnia a “Gesù nascosto”. Rimaneva, così, per ore e ore davanti al Tabernacolo in preghiera. La propensione di Giacinta era di «salvare dall’inferno i poveri peccatori». Rimase profondamente impressionata quando udì la Beata Vergine dichiarare che Gesù era molto offeso dal peccato. La visione dell’Inferno l’aveva terrorizzata: non per sé, che sapeva sarebbe andata in Paradiso, ma per i peccatori. Prese a cuore la conversione dei peccatori, la preghiera per il Papa, l’amore per i malati e i sofferenti. La missione di suor Lucia: «Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato». La Vergine chiese a Lucia di imparare a leggere e a scrivere per trasmettere le Sue indicazioni, perché il mondo potesse conoscere il messaggio di Fatima. 

Questo loro essere integrativi e ausiliari, dovrebbe essere per noi, che apparteniamo alla Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, un grande insegnamento a completarci gli uni gli altri, a non fare a gara per sentirsi più grandi degli altri, ma ad allenarci nello stimarci a vicenda, attaccarci al bene, che ci unisce, ed allontanarci dal male che ci divide. Ci dovrebbe far soffermare in particolare sull’aspetto della fraternità e della reciprocità, ricordandoci che la nostra esistenza è strettamente legata a quella degli altri e la comunità è la testimonianza viva della legge dell’amore che Gesù ha portato sulla terra. La logica di Cristo ci orienta a non avere manie di grandezza, ma a crescere nell'umiltà e nella semplicità, cercando di fare il bene in ogni momento e vivendo in pace con tutti. Se la vera gara è per essere più servi degli altri (come ci hanno insegnato i pastorelli), allora occorre pensare di incoraggiarci a vicenda lungo una strada che, seppur impervia a causa dell’orgoglio connaturato all’essere umano, è tuttavia strada di libertà!

 

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