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UCRAINA: dove un ospite è sempre una buona notizia

L’estate, si sa, è tempo di vacanze, di relax, occasione per “staccare” dalla routine quotidiana. Tempo che, a volte, si rischia di sottrarre a Dio - quasi fosse un antagonista dei nostri momenti liberi - per dare invece la preminenza a ciò che ci piace fare, ad attività che possono in qualche modo darci felicità. Nei giorni di vacanza, solitamente, scegliamo di andarcene "altrove": lontano dalla scuola, dal lavoro, da casa, dalla città dove viviamo, scegliendo come destinazione la montagna, il mare, il lago, qualche luogo di villeggiatura magari in mezzo alla natura, o forse qualche mèta culturale, qualche città d’arte...

Eppure, in quest’estate 2023, c’è anche chi ha scelto di utilizzare i suoi giorni di ferie lavorative per donare il proprio tempo al prossimo, e non in un luogo rilassante, ma in un Paese in guerra: l’Ucraina. Si chiama Sara, e il suo cognome è Gioia: una spinta interiore l’ha portata a circa 2.000 Km da Roma, per condividere le sue vacanze svolgendo un’attività di volontariato per i poveri, con la sola "pretesa" di offrire amicizia e di portare, come dice il suo nome, un po’ di gioia a persone che vivono in una situazione di difficoltà quotidiana.

 

UCRAINA: DOVE UN OSPITE È SEMPRE UNA BUONA NOTIZIA

di Sara Gioia

Sono stata in Ucraina due volte quest’anno e vorrei condividere quello che ho visto e imparato lontano dal fronte: anche se può sembrare strano, lì ho ricevuto molto, molto di più di quanto ho dato.

Lavoro in un grande ambiente multiculturale e, quando la Russia ha invaso il Paese, mi sono chiesta se nel mio ufficio ci fossero ucraini a cui poter esprimere solidarietà. Noi italiani in genere non distinguiamo bene le popolazioni ad est della Germania o sopra la Grecia. Alla fine, ho trovato ben tre ucraini e il loro atteggiamento – fiero, schivo e dignitoso – mi ha spronato a voler saperne di più sulla loro storia e quindi le ragioni del conflitto, per me sorprendente, che passava di continuo in televisione.

Dopo aver ampliato e approfondito la conoscenza di persone ucraine qui in Italia, ho contribuito a qualche “raccolta fondi” e iniziato a studiare la melodiosa ma ostica lingua ucraina. Infine, ho offerto la mia presenza gratuita alla Caritas di Žytomyr, una città dell’Ucraina centrale. Qui, fra luglio e agosto, ho lavorato in una “cucina sociale” dove ogni giorno si preparano e distribuiscono centinaia di pasti completi per sfollati interni e persone che non possono permettersi di cucinare né di scappare.

Il fatto che mi ha subito colpito è che, se si fa eccezione per le zone dove si svolge il vero e proprio conflitto, in Ucraina la gente si impegna ostinatamente e con successo a condurre una vita normale. I missili a lunga gittata lanciati dalla Bielorussia, dalla Russia e dal Mar Nero, vengono in grandissima parte intercettati e neutralizzati mentre sono ancora in volo. Nel frattempo, il Governo calcola rapidamente in quale (vasta) zona potrebbero cadere e lì fa scattare gli appositi allarmi sonori, accompagnati da messaggi telefonici. La probabilità di essere effettivamente colpiti da uno di quei missili è talmente bassa e la quantità di allarmi talmente elevata, che la gente sceglie di non correre nei rifugi – che pure ha a disposizione – ma continua a fare quello che sta facendo. Ho l’impressione che sia un modo per combattere la paura, per non trasmetterla agli altri e, anche, per contribuire alla lotta che l’esercito di casa porta avanti un po’ più in là.

Tutti, ma proprio tutti, hanno un amico, un vicino o un parente che combatte, è rimasto ferito o ha già dato la propria vita in trincea e questo rende la gente ancora più determinata a resistere, anzi, a non farsi togliere quello che può rimanere di una vita normale: in Ucraina si va al ristorante, sui mezzi, in palestra e al centro commerciale. Fino al coprifuoco. E si cerca di cancellare ogni traccia della prima fase del conflitto, quando invece i nemici erano dappertutto: Kyiv è ora una splendida, curatissima città.

Vista la disinvoltura dei locali dinanzi agli allarmi, dunque, e non volendo passare per una rammollita occidentale, ho fatto mia la loro scelta appena arrivata. E ho visto che funziona: una cuoca della Caritas mi stava presentando la nipote di quattro anni, quando è partita la sirena antimissile. La bambina si è immobilizzata e ha guardato prima la nonna e poi me, che a nostra volta ci siamo scambiate un solo sguardo e abbiamo continuato a vezzeggiare la piccola, come se niente fosse. E lei ci ha creduto.

Nel frattempo, per strada, sui mezzi e nei negozi si vedono solo donne, bimbi, anziani e soldati in licenza. Li vedi arrivare a casa con la valigia come commessi viaggiatori e poi girano in città con la famiglia e spesso in divisa, come per assorbire l’affetto della gente. E quando un soldato di Žytomyr muore, il comune ammaina la bandiera nella piazza principale, così lo sanno tutti quelli che passano.

I cimiteri ucraini sono punteggiati di bandiere giallo-blu che segnalano le tombe dei soldati caduti in guerra. Ne ho vista una di un ragazzo nato nel 2001. Nel 2001.

Quando i destinatari degli aiuti umanitari non sono in grado di muoversi, è la Caritas a portarglieli. Ho accompagnato gli operatori in un tour delle campagne per raggiungere anziani soli e visitato pure un’associazione di non vedenti, dove sono stata accolta con la canzone più famosa di Toto Cutugno e ho potuto percepire la forza, il coraggio e la dedizione della direttrice ipovedente di quell’associazione. Lei è il ricordo più bello di tutto il mio viaggio.

Ho notato poi che la storia dell’Ucraina l’ha preservata, nel bene e nel male, dagli effetti della globalizzazione. Qualche grande marchio si è fatto strada ma non esiste la “moda” come la intendiamo noi. Le persone scelgono davvero il proprio abbigliamento – ho visto almeno un centinaio di modelli di scarpe e vestiti – e nessuno sembra sorpreso dalle scelte dell’altro.

La dimensione agricola della società, poi, risulta evidente: ogni ucraino che si rispetti coltiva qualcosa: dal vasetto sul terrazzo all’orto, che di frequente circonda la sua casa. Molti allevano anche animali da cortile, mucche e maiali. Il supermercato viene visto come un’inevitabile necessità e si cerca di produrre quanto più possibile in casa.

         Gli ucraini hanno difficoltà ad accettare l’esistenza di alberghi per chiunque non sia proprio uno sconosciuto e, se non possono ospitare a casa propria, chiedono a un amico o a un parente di farlo per loro. E quello accetta, anche se non ha idea di chi sia a venire e anche se ha un bagno solo. Un ospite è sempre una buona notizia e ricorda Dio.

         L’Ucraina ama il canto e ha una canzone per tutto. A Natale e con quel freddo le strade sono illuminate da gruppi di amici e familiari che si fanno visita cantando.

         Nessun ucraino parla di pace ma tutti vogliono vincere, perché l’alternativa – rinunciare alla libertà già faticosamente conquistata – è inaccettabile. Fatevi raccontare com’era la vita prima dell’indipendenza.

         In Ucraina ho ricevuto molto, molto di più di quanto ho dato: persino regali prima di ripartire. Ma il fatto più importante secondo me è che chiunque, con un po’ di salute e di accortezza, può fare quello che ho fatto io. Agli ucraini di Žytomyr non importava nulla del mio lavoro, li ha fatti felici vedere una persona partita da un Paese lontano per stare con loro. Condividere è quello che conta. Io credo che Gesù non ci chieda di essere supereroi, “solo” pienamente umani.

 

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