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UNA FAMIGLIA NELLA PROVA: LA MALATTIA

di Francesca Scanferlato

“Beate le famiglie e il monastero che hanno dei malati! Mediante le visite ai malati si salvaguarda la pratica della dolcezza e della pazienza; essi espiano, portano la mia immagine, l’immagine di Cristo che soffre nella sua Chiesa. Consolarli con spirito di fede è compiere l’opera di riparazione nella Chiesa” (Colloquio interiore. Sr. Maria della Trinità, n. 64)

In questo pensiero di Gesù, siamo immediatamente trasportati nello spirito delle beatitudini, tanto lontano dalla logica dell’egoismo, così pervasiva nella cultura attuale e nella natura decaduta dei figli di Adamo. Siamo immersi e circondati dalla più estesa ignoranza delle cose dello spirito. Non sappiamo nemmeno che “l’egoismo distrugge lo spirito di Amore”. (La Madonna a Maria Valtorta, quaderni del 44, 13 maggio).

Per noi, consacrati della Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, le parole “portano l’immagine di Cristo” quando siamo nella malattia; e “compiere opera di riparazione nella Chiesa” quando visitiamo, e più ancora, accudiamo un malato, suonano come una dolce conferma del nostro carisma.

Vivere l’esperienza di una malattia cronica, nella propria famiglia, costringe a verificare giorno per giorno, spesso attimo per attimo, quanto concrete siano le nostre virtù teologali e cardinali. Parallelamente alle incombenze della vita quotidiana e agli eventi relativi alla malattia, si avvia un dinamismo spirituale incessante, fatto di ricerca di senso, riflessione, meditazione, preghiera, petizioni, giaculatorie, sete di parola di vita eterna, fame di Eucaristia, di forza spirituale, di guida, di consolazione, di fede, di fede, di fede.  Santa Teresa di Gesù Bambino confidò, durante la sua malattia: “Ho fatto più atti di fede in un solo anno, che in tutta la mia vita”.

Duole doverlo ammettere, perché l’amore e la sete di Dio dovrebbero possederci totalmente a prescindere dagli eventi dolorosi, come “stato ordinario” della nostra anima di consacrati, ma è pur vero che amore e sofferenza, per Gesù, sono inseparabili, e quindi nella sofferenza del credente Dio trasfonde il suo Amore. Ecco spiegata la beatitudine, riportata in apertura.

Durante la malattia si perde l’euforia – almeno, questo è successo nella nostra famiglia –; si impara a non fare progetti umani impegnativi; a confidare nella divina Provvidenza, perché a volte è impossibile trovare lucidità, tempo e forza per provvedere a tutto; si abbandona la competizione, e tuttavia si scoprono energie insospettate; si impara a necessitare meno sonno che nel passato; a considerare con occhio diverso i poveri lazzari che incontriamo; a gioire per le piccole e grandi attenzioni e delicatezze ricevute dal prossimo, specie quando ti salva l’anima o la vita in pochi minuti, con modestia e un sorriso. Si impara a vedere che il dolore principale del mondo è proprio la mancanza di umanità, generata dagli egoismi in tutte le loro espressioni e declinazioni.

Il nostro caro Fondatore, molto attento e sollecito verso gli ammalati e sofferente in vecchiaia, ci espresse quasi 30 anni fa il suo desiderio che molti medici e operatori sanitari entrassero a far parte della Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, invitandoci a lavorare per questo progetto. Molti consacrati e consacrate, diversi Religiosi e Religiose, vivono o hanno vissuto la nostra esperienza. “Dio ora distribuisce…” ci confermò il Padre, abituato a raccogliere le nostre richieste di preghiera e guarigione nella malattia. Noi auspichiamo che si approfondisca l’attenzione per la realtà degli ammalati anche come Movimento, come pure per gli anziani.

La Madonna a Lourdes apparve a una giovane, di salute cagionevole, che realizzò la sua santificazione curando le ammalate del suo monastero, dopo aver fatto sgorgare con le sue mani una sorgente miracolosa, prima di morire consumata dalla malattia. Le promise la felicità solo nella prossima vita e non in questa. Le chiese preghiera, penitenza e la costruzione di un Santuario. Analogamente, in presenza di una malattia è difficile aspettarsi di essere felici. La penitenza è insita nello stato stesso della condizione di ammalato, deve solo essere offerta. Solo la preghiera è lasciata alla propria iniziativa. Talvolta non può nemmeno essere correttamente formulata, ma può esprimersi appoggiando il proprio cuore, corpo o mente sofferente sul cuore di Maria. Quante persone chiamano la mamma nel momento più intenso della loro agonia! A Lourdes, la Madonna stessa guidò la recita del Santo Rosario nella famosa Grotta, dove sgorgò l’acqua risanatrice. Mi piace pensare che sia un messaggio di massima partecipazione di Maria nella preghiera dei malati.

Sempre a Maria Valtorta, inferma e molto sofferente, la Madonna disse: “In tutte le circostanze… ama sempre. Vi sia un punto in te, il più profondo, che in mezzo a tutto un essere ferito, percosso, agonizzante, inebetito dal dolore, spossato dagli assalti del demonio, nauseato dagli eventi della vita, sbattuto come nave in procella, sa rimanere quieto e vivo nell’amore. Un punto in te che abbia questa unica missione: amare, e la esplichi per la mente, il cuore, la carne e quel punto sia il Santuario tuo…” (Quaderni del 44, 13 maggio.)

Ecco che la richiesta di un edificio si può associare all’invito a realizzare un “santuario interiore” come luogo in cui ogni persona – e specie le più provate – possa e debba rendere lode al Signore e irradiare amore. L’Immacolata guidi tutti gli ammalati e  i suoi consacrati nel luogo quieto dell’amore di Dio.

 

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