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VOLONTARIATO IN CARCERE

UN’ESPERIENZA TRA I PIÙ PICCOLI

di Silvia Thorel

Era dicembre 2016, da 2 mesi avevo conseguito la laurea in giurisprudenza e mi stavo guardando intorno per decidere cosa fare della mia vita.

Così, un pomeriggio, mentre mi accingevo ad uscire, la mia attenzione viene catturata dalle parole di una donna intervistata in TV. Incuriosita, mi avvicino per ascoltare meglio. Scopro allora che è una volontaria di un'associazione che opera nelle carceri, a sostegno delle mamme detenute e dei loro figli, che fino ai tre anni sono “detenuti” anch'essi. Per legge, infatti, in una fase così delicata per la crescita del bambino, si consente che i figli stiano con le mamme. Mi avevano colpito in quell'intervista la gioia e la serenità della volontaria che, secondo me, contrastavano con la situazione-carcere, non certo facile né allegra, in cui era coinvolta.

Così ho preso la decisione di contattare l’Associazione, per vedere cosa potessi fare in concreto e se avessi la forza di affrontare quel tipo di esperienza.

Mi sono un po’ buttata e, dopo un corso di formazione ad hoc seguito a gennaio, a febbraio ho iniziato il volontariato, scegliendo di farlo con i bambini nella giornata di sabato, mentre durante la settimana ero impegnata con la pratica forense.

Gli incontri del sabato funzionavano così: noi volontari ci incontravamo nei pressi del carcere. A tal proposito, ricordo ancora che il primo giorno di volontariato per errore mi sono ritrovata all’accettazione per i colloqui con i detenuti, insieme a una donna che aspettava di parlare con un parente.

Una volta che i medici davano l'autorizzazione per l’uscita dei bambini, i volontari di lunga data andavano a prenderli e con un pullman – guidato da una volontario – ci recavamo sempre in posti diversi (presso famiglie o coppie che mettevano a disposizione la loro casa, offrendoci anche il pranzo preparato da loro; o presso scuole; al mare, ospiti della Tenuta Presidenziale di Castel Porziano o in sale messe a disposizione in vari Paesi nel Lazio da privati o istituzioni municipali).

A ogni volontario era affidato un bambino per tutta la giornata.

I bambini... ho tanti e diversi ricordi!

Uno di loro, di un anno e qualche mese, camminava sempre quando uscivamo, nonostante avesse i pantaloni troppo stretti, perché non proprio della sua taglia. Del resto, capitava di vedere bambini che calzavano scarpe un po’ più grandi o abitini dismessi.

Un altro, che vidi solo un giorno perché poi il padre lo prese con sé, all'improvviso venne ad abbracciarmi mentre giocavo con il bimbo che mi era stato affidato quel giorno. Ancora, ricordo un bambino che piangeva perché, non essendo io molto pratica di pannolini, era sopraggiunta in mio aiuto un'altra volontaria e lui voleva me.

Mi dispiacque tanto quando, dopo aver giocato con bambini incontrati in un parco, dovetti dir di no alle loro mamme, che proponevano di lasciarci i giochi per riportarli la settimana successiva nello stesso posto. Purtroppo, sapevo che non saremmo tornati lì e sapevo anche che i bambini in carcere non dispongono di tanti giochi.

Un altro giorno, quando eravamo ospiti in un casale, un bambino buttò giù una sedia dal tavolo, mentre passavo tenendo per mano un altro bambino. In quella circostanza mi resi conto della responsabilità che noi volontari avevamo e di quanto fosse importante essere sempre attenti e vigilanti, affinché i bambini non si trovassero in situazioni pericolose.

Mi è capitato anche di partecipare alla gioia di due di questi bambini: mentre uno di loro stava venendo verso di me e io, per accoglierlo, allargavo le braccia, l'altro, suo amico, faceva lo stesso mio gesto e ci ritrovammo tutti e tre abbracciati e contenti.

L’unico giorno in cui ho avuto occasione di incontrare le mamme è stato in occasione del compleanno di un bambino nel nido (una stanza davvero piccola) del carcere.

Ed è qui che una mamma mi ha chiesto, preoccupata, se, nelle nostre uscite, il figlio di quasi tre anni parlasse, perché con lei non lo faceva.

Sempre in questa occasione ho saputo che il bambino che nel casale aveva buttato giù la sedia dal tavolo era da solo alla festa, perché la mamma era stata messa in isolamento per aver morso un’altra donna. E, ancora in questo giorno, ho visto una mamma salutare un volontario e chiedergli se si ricordava di lei... era già stata in carcere con la figlia più grande e ci era ritornata con la più piccola.

Insomma, è stata un'esperienza “tosta”, perché mi sono trovata di fronte ad un’umanità piccola, ma vera e sofferente, che mi ha messo alla prova perché non era facile anche semplicemente guardare questi bambini, costretti a fare i conti con “qualcosa” che non avevano commesso e di cui non erano consapevoli e nemmeno responsabili, ma in cui purtroppo si ritrovavano coinvolti.

Nonostante questo – o forse proprio per questo – sentivo di voler essere presente e così è stato, finché un certo giorno ho dovuto, a malincuore, lasciarli.

 

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