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PER POTER ESSERE AMICI

Molto umani, molto divini

Tratto dal sito “Opus Dei”

I parte

Quando una persona vive i suoi ultimi momenti, quando è sul punto «di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13, 1), tende a riflettere sulle cose essenziali. Il suo interesse si concentra nel completare le cose che non vorrebbe lasciare incompiute: riuscire a rivolgere alcune frasi affettuose ai suoi, fare un rapido bilancio della propria vita, cercare di riconciliarsi con qualcuno... Accade lo stesso nella vita di Gesù. Il preambolo delle sue ore finali è una cena rituale con quelli che gli sono più vicini. I vangeli ci permettono di intravedere questi momenti attraverso alcune commoventi pagine di amicizia, nelle quali il Signore ci lascia come eredità la testimonianza del suo amore. «Nell’intimità del Cenacolo, Gesù dice agli apostoli: Vi ho chiamati amici (Gv 15, 15). In loro, lo ha detto a tutti noi. Dio ci ama non soltanto come creature, ma anche come figli ai quali, in Cristo, offre una vera amicizia» [1].

Un incontro di intimità

L’amicizia è una relazione in due direzioni che cresce attraverso il dare e l’accettare. Gesù Cristo offre ai suoi amici il dono più grande che esiste: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito» (Gv 14, 16). Però, alla sua maniera, chiede anche reciprocità; ci chiede di accettare i suoi regali: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9). Non esistono amicizie nelle quali è coinvolta solo una parte. Ogni amicizia genuina comporta uno sforzo sia per entrare nella vita degli altri sia per lasciare che gli altri abbiano uno spazio in noi.

Non sempre questo movimento di avvicinamento reciproco è facile; e meno ancora se l’ambiente sociale o le nostre inerzie personali ci inducono a contare poco sugli altri, a bloccare il nostro mondo interiore davanti a eventuali intromissioni o a guardare agli altri solo in quanto ci possono essere momentaneamente utili. Per rendere possibile l’amicizia dobbiamo essere disposti ad aprire le porte del cuore. Questo ci rende sicuramente vulnerabili, ma ci rende anche più umani. Chi non ha provato questi momenti di complicità con un’altra persona quando l’incontro di due mondi interiori diventa evidente? Potremmo pensare che queste situazioni, piene di candore e di intensità, siano proprie della gioventù. Eppure chi non ha più paura di aprire la propria interiorità ed è disposto ad accogliere altri nel proprio cuore è capace di avviare amicizie profonde a qualsiasi età: sia con i genitori, i fratelli, i figli il marito o la moglie, con quelli che vivono nella stessa casa o con i colleghi di lavoro.

Benevolenza e tenerezza

Fin dall’antichità si è ritenuto che «l’amicizia è una virtù o, in ogni caso, qualcosa che va unito alle virtù. Inoltre, è la cosa più necessaria per la vita» [2]. Perché l’amicizia si consolidi e cresca è indispensabile che gli amici stimolino alcune disposizioni che favoriscono lo scambio di interiorità. L’amicizia, infatti, è fatta di «ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa» [3].

La ricerca del bene dell’altro, conosciuta anche come benevolenza, è forse la principale di queste disposizioni. Significa non tanto che mi importi un bene concreto dell’altro – e neppure un bene per l’altro –, ma che mi importi l’altro: mi interessa che sia felice. La benevolenza indica l’autenticità dell’affetto verso i nostri amici, e questo presuppone «riconoscerli e appoggiarli così come sono, con i loro problemi, i loro difetti, la loro storia personale, il loro ambiente e i loro tempi per avvicinarsi a Cristo. Dunque, per dare vita a una vera amicizia, è necessario migliorare la capacità di guardare con affetto le altre persone fino a vederle con gli occhi di Cristo» [4].

Migliorare la nostra capacità di aprirci agli altri richiede inoltre crescere in tenerezza. Contrariamente a ciò che a volte si pensa, la tenerezza «non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro» [5]. La tenerezza è un campo fertile, frutto del lavoro quotidiano: in essa può crescere la complicità, la confidenza. «Ognuno di voi ha il cuore pieno di tenerezza, come l’ho io» [6], diceva san Josemaría. La tenerezza la troviamo in persone affettuosamente espressive, ma anche in temperamenti più introversi, e sa adeguarsi all’uno e all’altro modo di essere. In quei momenti intimi dell’Ultima Cena, esattamente, Gesù ha una controversia con Pietro, che non vuole lasciarsi lavare i piedi (cfr. Gv 13, 6-11), però permette anche che Giovanni reclini il capo sul suo petto (cfr. Gv 13, 23). La tenerezza dell’amico comprende le necessità dell’altro, rispetta la sua intimità, il suo modo d’essere; evita di essere invadente e, invece, offre la sua presenza silenziosa.

[1] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 1-XI-2019, n. 2.

[2] Aristotele, Etica a Nicomaco, 1155a.

[3] Papa Francesco, Es. ap. Amoris Laetitia, n. 123.

[4] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 1-XI-2019, n. 8.

[5] Papa Francesco, Omelia, 19-III-2013.

[6] San Josemaría, Appunti di un incontro familiare, 15-IX-1971, AGP, Biblioteca, P01.

 

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